Agnus Dei: una storia di suore, di dolore e di speranza

Anne Fontaine racconta il suo Agnus Dei, nei cinema dal 24 novembre

Polonia, 1945. Mathilde, un giovane medico francese della Croce Rossa, è in missione per assistere i sopravvissuti della Seconda Guerra Mondiale. Quando una suora arriva da lei in cerca di aiuto, Mathilde viene portata in un convento, dove alcune sorelle incinte, vittime della barbarie dei soldati sovietici, vengono tenute nascoste. Nell’incapacità di conciliare fede e gravidanza le suore si rivolgono a Mathilde, che diventa la loro unica speranza.

Questa la sinossi di Agnus Dei, il film presentato in anteprima al Bari International Film Festival. La pellicola di Anne Fontaine, si basa su una storia vera e sarà nei cinema dal 24 Novembre.

"Un giorno i due produttori del film mi hanno invitata a pranzo e mi hanno detto: “Abbiamo un soggetto magnifico per te. Mi hanno raccontato una storia che subito mi è sembrata commovente e così ho cominciato a pensarci su. Esisteva già una prima versione del copione scritta da due giovani sceneggiatori. Era magnifica, ma ho pensato che avrei voluto riscriverla completamente.

Ho scoperto che la vicenda che veniva narrata era vera ed era accaduta a un giovane medico donna francese che l’aveva raccontata a un nipote che poi l’aveva scritta. Ho capito che, partendo da quel fatto reale, bisognava costruire tutta una drammaturgia e definire i rapporti fra i personaggi, e ho cercato quindi di entrare a poco a poco dentro alla storia, di creare una tensione, di definire il carattere di ogni singola suora", ha detto la regista.

"Per me era necessario guardare da una giusta distanza le emozioni da raccontare, tenendomi però abbastanza vicina ai volti delle attrici. Non è facile filmare le suore, perché a chi le guarda sembrano tutte uguali, e quindi dovevo cercare di cogliere qualcosa di speciale in ogni viso, soffermandomi sui più piccoli particolari, la pelle, per esempio, o lo sguardo. E poi le espressioni di un volto cambiano continuamente, e questo mi ha spinto a giocare molto con la luce. Volevo evitare la caricatura e la rappresentazione folkloristica.

Desideravo anche sfuggire da ogni possibile voyeurismo e dal facile melodramma. Le emozioni, insomma, dovevano essere contenute. Ho chiesto alle mie attrici di "andare contro le emozioni", domandando loro di non piangere, di non gridare. A Lou de Laâge, che interpretava il medico, ho detto invece di essere dura e non compassionevole".

"Ci sono dei momenti in cui queste suore cantano tutte insieme. Il fatto che trascorrano tanto tempo riunite in una sorta di intimità permette loro, se non di dimenticare, almeno di "rimediare" in qualche modo al dolore che provano a causa della violenza subita.

Però nel film ci sono delle suore che vivono molto male la loro condizione, è una situazione complicata, insomma. Nel gruppo c’è sicuramente comprensione reciproca, ma si tratta di un nucleo isolato, elemento che rende l’equilibrio ancora più complicato".