Ghost Hunting, è palestinese il miglior documentario del festival di Berlino

Il regista Raed Andoni ricrea in un capannone di Ramallah il carcere israeliano dove fu prigioniero. Coinvolti nel progetto altri ex detenuti

Il miglior documentario del festival di Berlino 2017, relativo alla sezione Panorama, è Ghost Hunting del regista palestinese Raed Andoni. Tratta di un argomento forte, di quelli che rimarranno per sempre impressi nella mente e nel corpo di è stato costretto a subirli, anche a distanza di decenni: la detenzione, nel centro d'interrograzione di Moskobiya a Gerusalemme, di prigionieri palestinesi da parte dell'esercito israeliano. Tale esperienza è resa ancora più diretta in quanto il film fa rivivere la crudeltà dei trattamenti alle stesse persone che li subirono. L'idea di Andoni è, da una parte, semplice, e dall'altra rischiosa. Tanto nei termini della tensione emotiva che si manifesta in quei reduci quanto nel modo artistico individuato per rappresentare i fatti.

Deciso a fare un film per non dimenticare quella pagina di storia, egli stesso prigioniero a Moskobiya, Raed Andoni (palestinese nato a Amman in Giordania nel 1967) mette un annuncio su un giornale di Ramallah per cercare ex detenuti in quel carcere. Ma non solo. Chi risponderà all'annuncio dovrà avere anche esperienze come artigiano, architetto o attore. Perché Andoni ha deciso di allestire, in un capannone della città palestinese, un set per ricreare, in miniatura, gli ambienti della prigione: celle, stanze per gli interrogatori e le torture, corridoi. Andoni fa un casting, sceglie i ruoli che gli ex carcerati dovranno interpretare e le mansioni da dare a chi dovrà manualmente dedicarsi alla ri-costruzione di Moskobiya. Vuole farne un film, che è già quello che lo spettatore sta vedendo. Ricorre all'animazione nel disegnare se stesso giovane uomo incappucciato, condotto, legato, isolato tra quelle pareti. Quando la rappresentazione-seduta psicanalitica ha termine, la saracinesca del capannone si riapre, il regista esce, al suo fianco riappare la sua figura animata, ombra che lo segue come un fantasma anche ora che è libero. Nel mezzo, dopo l'arrivo e prima della partenza, il confine tra realtà e finzione è stato più volte superato. In certe scene la vera frustrazione, il ricordo delle violenze, ha preso il sopravvento in chi stava rimettendo in campo il passato recitandolo. Talvolta, il regista ha imposto la sua visione autoritaria alla quale gli ex detenuti-interpreti si sono ribellati. Il capannone-prigione si è trasformato in un gioco di specchi, in un labirinto del dolore nel quale incamminarsi e ri-guardarsi e, al tempo stesso, in un luogo in cui i personaggi hanno portato schegge delle loro storie personali vissute nel presente. Ghost Hunting contiene tali conflittualità e l'ambizione di essere un atto di denuncia e una riflessione pratica e teorica sulla realizzazione di un progetto.

Dopo Berlino, Ghost Hunting sarà in concorso a Cinéma du réel di Parigi, uno dei più importanti festival dedicati al documentario nella sua più vasta declinazione, come ben suggerisce il titolo della manifestazione in programma dal 24 marzo al 2 aprile 2017.