L'attore e il regista John Landis raccontano al "Guardian" gli eccessi del più classico dei film musicali
Chi ritiene che The Blues Brothers sia un cult movie e il più irresistibile e divertente dei film musicali non deve perdere l'intervista che Dan Aykroyd e John Landis hanno concesso al Guardian. L'attore e il regista raccontano la genesi del film, gli aneddoti più curiosi e soprattutto gli eccessi che caratterizzavano la Hollywood dell'epoca, specie quando si parla di un'autentica leggenda come John Belushi.
Blues Brothers: John Belushi "è quasi morto sul set"
Aykroyd rivela al Guardian che John Belushi, a quei tempi, era quasi del tutto fuori controllo. Ma non solo lui: la droga, negli anni '70 e '80, era dappertutto. "Persino nei budget di alcuni film", ha detto una volta Dennis Quaid.
All'epoca la cocaina era normale. Per chi girava di notte era come prendere il caffè. A me non è mai piaciuta, ma non stavo a sindacare i comportamenti degli altri. Abbiamo fatto impazzire John Landis. A volte non sapeva se ci saremmo presentati sul set dopo le feste, ma Belushi era un professionista e non c'era modo che non sarebbe arrivato.
Nella biografia Chi tocca muore, il giornalista Bob Woodward racconta che nel caso di The Blues Brothers, ci sono almeno un paio di sequenze in cui il fenomeno del Saturday Night Live, nel pieno della dipendenza, riusciva a stento a reggersi in piedi. Aykroyd lo conferma.
Quando stavamo girando, John era diventato dipendente dalla cocaina. La cocaina ti fa bere, e bere ti fa prendere più cocaina. Gli estranei lo vedevano e gli davano della droga. Era difficile tenerli lontani. È quasi morto sul set di quel film.
La morte arrivò due anni dopo, nella notte tra il 4 e il 5 marzo del 1982 in una stanza del Chateau Marmont di Hollywood, per un mix letale di eroina e cocaina. Una volta, confessa Aykroyd, Belushi finì addirittura per perdersi.
Ma non perché era fatto, fu perché aveva fame e non gli piaceva quello che c'era da mangiare sul set. Non riuscivo a trovarlo da nessuna parte. Alla fine ho visto una stradina che andava verso un parcheggio e un quartiere vicino. Il quartiere era buio, tranne per una casa. Busso alla porta e chiedo: 'Mi scusi, stiamo girando un film e manca uno dei nostri attori'. Il ragazzo mi risponde: 'Oh, Belushi? È arrivato circa un'ora fa, ha fatto irruzione nel mio frigo e si è schiantato sul divano'.
Blues Brothers, film compie 40 anni: i segreti di Dan Aykroyd
The Blues Brothers resta un cult e quest'anno festeggia i 40 anni dall'uscita. La genesi, però, non fu semplice. Il film era un oggetto improbabile per una major come la Universal, in una fase storica dominata da Abba e Bee Gees in cui si proponeva di rispolverare il soul e l'R'n'B.
La mia sceneggiatura originale si chiamava The Return of the Blues Brothers e conteneva in pratica due film. John Landis la trasformò in 150 pagine molto più gestibili. Era la chiave del progetto, lui ha messo tutto insieme.
Il look total black di Jake ed Elwood fu ispirato ad un classico del blues.
Siamo stati ispirati dal disco House of the Blues di John Lee Hooker: lui aveva l'abito e le sfumature. Chi non vorrebbe apparire così figo? Indossammo giacca e cravatta e finimmo per sembrare agenti dell'Fbi. Era un look universale che ha funzionato molto bene.
La missione dei fratelli Blues per conto di Dio passa dalla tavola calda di Matt "Guitar" Murphy: in quella scena epocale irrompe Aretha Franklin, che in grembiule rosa e ciabatte canta e balla Think.
Le mie gambe, lo stomaco e il plesso solare si sono trasformati in gelatina quando ha iniziato a cantare. Onestamente non sapevo come mi sarei alzato dallo sgabello per fare i miei movimenti.
Fonte foto: Universal