Cannes: Sicario di Denis Villeneuve e l'italiano Mediterranea

Lo spettacolare film del regista canadese porta il cinema di genere in concorso mentre l'italiano Joans Carpignano racconta una storia di immigrazione attraverso il senso dell'avventura

Giornata particolare, ieri a Cannes, infatti è passato, in concorso Sicario del regista canadese Denis Villeneuve che come sappiamo sarà il regista del sequel di Blade Runner, ma la particolarità è che il film di Villeneuve è un thriller in piena regola. E quando diciamo in piena regola non intendiamo solo che è ben fatto con tutti i crismi al posto giusto, vogliamo anche dire che è bello.

Che un thriller sia buono fa sempre un piacere ma che sia in concorso è strano: sì, perché sulla Croisette l’idea di autorialità ha sempre trionfato e invece ecco che nell’aura entra anche il cinema di genere. Legittimamente, perché il cinema è spesso di genere.

Il film racconta la vicenda di alcuni agenti che combattono il traffico di droga lungo il confine con il Messico. L’agente dell’FBI Kate Macer (Emily Blunt) viene aggregata a un’unità della CIA che deve contrastare, in ogni modo possibile, il narcotraffico. Mecer diventa l’anello debole della sua squadra, presa da dubbi etici e morali sulle azioni da compiere, mentre i suoi compagni, uno è Josh Broilin l’altro Benicio Del Toro, sono invece i due uomini della CIA cui sembra non dispiacere l’azione violenta. La loro missione è portare negli Stati Uniti il capo dei trafficanti detenuto a Juarez.

Cinema grande impatto visivo, con una messa in scena che rasenta la perfezione e una sequenza di azione e adrenalina lunga una mezz’ora che toglie il fiato che pure ammiccando ai videogame spara e fuggi ha in sé tutta la forza e la potenza del cinema spettacolare.

Invece è passato nella selezione della Semaine de la Critique di Cannes Mediterranea di Jonas Carpignano. Il film, estensione di un suo cortometraggio selezionato al Sundance, è la storia di due amici, Abas e Ayva, due ragazzi del Burkina Faso, che attraversano l’intero Sahara per giungere sulle coste infuocate e maledette della Libia e da lì, attraversare quel poco di mare che c’è, per congiungersi con un loro amico a Rosarno in Calabria dove iniziare a far i raccoglitori di arance.

La storia dei due ragazzi è il modo di vedere come per uno l’arrivo alla meta tanto agognata altro non è che la fine di un sogno, per l’altro un ragione in più per continuare a sperare in qualcosa di meglio.

Film che tocca temi di attualità e di cronaca che i telegiornali ci forniscono ogni giorno a pranzo, a cena, a tutte le ore senza però riuscire, semmai fosse questo il loro compito, a fornire lo spunto per un minimo di dibattito pubblico. Quelle immagini e quei drammi di vite vere, di uomini e di donne che sono un sesto continente alla deriva nei mari, è qualcosa di più prossimo a noi di quanto si creda che invece, per sentirci moderni, ci rifugiamo nelle teorie del rischio e nelle nostre paure da cavernicoli con l’elettricità nella caverna.

Carpignano è coraggioso perché da quello che sulla carta poteva essere una storia della serie “un camera una cucina” è invece un racconto dal sapore epico, di quel certo cinema indipendente americano che non si vergognava di amare Hollywood. Tutto avviene con rapidità, senza bisogni di prolisse spiegazione per ottenere una plausibilità. No, basta l’umanità e la sua miseria, la nostra, per capire le azioni dei personaggi, incluse le reazioni di chi si sente invaso dallo sconosciuto.

Un piccolo gioiello di cinema italiano

A cura della redazione