E' uno dei migliori autori del nuovo secolo. Prima della First Lady americana ha raccontato Neruda e gli anni della ditttatura in Cile
Cileno, 40 anni, regista e produttore. Sette lungometraggi realizzati tra il 2006 e il 2016. Pablo Larrain è uno dei migliori talenti del nuovo secolo. Ancorato alla memoria e alla storia, fin dentro i suoi periodi più bui, del suo paese; a persone che ne hanno scritto pagine fondamentali con la forza della parola, costrette all'esilio, o con la militanza per abbattere regimi; a persone che si sono macchiate di crimini sotto la copertura dell'esercito e della chiesa. Ma anche ancorato a una memoria e a una storia più globale, fuori dal suo paese, nella quale depositare intatta la sua idea di cinema. Un'idea di cinema elaborata aderendo con una varietà di stili, e soprattutto di composizioni cromatiche, ai differenti argomenti trattati.
Il suo film più recente, Jackie, è il primo non girato in Cile, ma negli Stati Uniti. Ha avuto la première alla Mostra di Venezia nel 2016 ed è stato candidato all'Oscar 2017 nella categoria riservata alle attrici protagoniste, ovvero Natalie Portman nei panni della First Lady americana Jacqueline Kennedy, moglie del presidente assassinato John Fitzgerald Kennedy. E' una biografia volutamente non esaustiva, filtrata dallo sguardo cangiante di Larrain, come lo era quella su Pablo Neruda, focalizzata su un momento particolare della tormentata esistenza in fuga del poeta cileno, nel precedente Neruda (2016). Titoli essenziali, un nome, un cognome, per essere da subito in contatto con i personaggi e con pezzi delle loro vite sulle quali concentrarsi. Larrain riesce a far coesistere nel suo cinema, senza che l'una ecceda sulle altre, una regia rigorosa, una direzione degli attori perfetta, una sceneggiatura cesellata, una fotografia che si manifesta come l'elemento più sovversivo. Lo si nota in ogni lavoro. Andando indietro nei film, ecco le luci livide, malate, de Il club (2015), che intrappolano, come la casa dove sono stati segregati ma non condannati, i sacerdoti e le suore che compirono abusi su bambini. Ed ecco, in No (a proposito di titoli secchi, del 2012; la distribuzione italiana al titolo originale ha aggiunto I colori dell'arcobaleno), resoconto della campagna organizzata dall'opposizione per fare vincere il No al referendum indetto nel 1988 dal dittatore Augusto Pinochet per una sua rielezione, che le immagini si slabbrano, sono di bassa qualità, sgranate, per aderire a quelle realizzate con i videoregistratori dell'epoca che trovano posto nel film. Un'opera, No, che costituisce la terza parte di un'ideale trilogia sul Cile della dittatura, inaugurata da Larrain con Tony Manero (2008, vincitore del Torino Film Festival) e proseguita con Post mortem (2010). Cinema forte e determinato, quello di Pablo Larrain. Che esordì con un film, Fuga (2006), dal soggetto musicale dove compare il primo personaggio non allineato della sua filmografia, un musicista colto da pazzia.