Conversazione con Mike Leigh

Incontro con il regista inglese in occasione dell'uscita italaina del suo film Turner

“Camera can move!”. Così Mike Leigh afferma, al termine della tavola rotonda di presentazione del suo ultimo film, Turner, a Roma, in risposta ad una domanda sulla differenza tra un quadro e un film.

Riportiamo qui la nostra intervista al cineasta inglese che ci spiega il perché del successo del suo personaggio Turner.

 

Il pittore Turner nel film non è presentato come un’artista dalla bellezza angelica, anzi ha i denti marci, sputa sui quadri, è spesso maleducato. Perché un personaggio così “brutto” è stato tanto apprezzato dalla critica?

La vita è imperfetta. Il film ha riscosso tanto successo proprio per questo. Noi cineasti abbiamo a che fare con immagini iconiche e prima ancora di fare un film su Turner, ho fatto altri film che mostravano la vita per quello che era. E la vita per sua definizione è imperfetta, sporca, disordinata. Il sesso non è sempre meraviglioso come possiamo leggerlo nei romanzi, l’amore non è sempre bellissimo come lo vediamo nei film, le persone non sono belle come vengono mostrate nei film americani. Fin da quando ero piccolo ho sempre guardato intorno a me la realtà e ho sempre desiderato rappresentare la realtà per quello che è con estrema onestà, perché mi affascina la vita intorno a me.

 

Lo sguardo, le espressioni del viso, in questo film sembrano avere un potere più grande rispetto alle parole che sono molto poche. È proprio così?

In tutti i miei film tendo a tratteggiare dei ritratti delle persone esattamente per quelle che sono. Quando guardo, leggo non soltanto quello che fanno in termini di occupazione, di attività nella vita quotidiana, ma in particolare che atteggiamento, che comportamento le persone assumono nel momento in cui svolgono determinate attività: dunque per me il comportamento non è solo una serie di simboli ma è esattamente ciò che sono le persone nella realtà.

Nella ricerca che abbiamo svolto prima di fare questo film, diverse fonti riferiscono del fatto che Turner facesse questi mugugni, questi brontolii costanti, che a volte era assolutamente monosillabico e taciturno, e altre volte estremamente eloquente e dotato di voli pindarici, retorici, classici nel momento in cui affrontava determinate conversazioni. È tutto questo ciò che va a comporre il comportamento di Turner e che mi sta a cuore.

 

Ricorda il primo momento in cui ha pensato di voler raccontare la storia di Turner?

Poco tempo dopo aver fatto il mio primo film d’epoca, Topsy-Turvy, che raccontava del periodo del 1880, ero in visita alla National Gallery e osservavo un quadro di Turner. Ho pensato potesse essere un soggetto interessante ma allora non conoscevo nulla del Turner uomo; così ho cominciato a leggere di lui e sono rimasto colpito e affascinato dal contrasto molto forte che emergeva tra la persona e l’artista del sublime.

 

Il cinema è opposto alla pittura?

Noi tutti abbiamo l’enorme fortuna di essere nati nell’epoca del cinema a e probabilmente attraverso il cinema siamo in grado di vedere delle cose che le persone nate prima che i film fossero inventati non erano in grado di cogliere. Il concetto dell’immagine singola che si applica alla pittura, però, si applica anche al fare cinema. Quando lavoro con Dick Pope (direttore della fotografia, ndr) consideriamo ogni singolo fotogramma, ogni singola inquadratura come se fosse un’entità a sé che successivamente deve essere incastrata con gli altri fotogrammi che vanno a comporre il film.

Giulia Andronico