Conversazione con Sandro Magliano, D.I.T. – Prima parte

Alla scoperta del mestiere del Digital Imaging Technician, figura chiave ma poco conosciuta di ogni set cinematografico digitale

Abbiamo incontrato Sandro Magliano, classe 1983, giovane ma già affermato Digital Imaging Technician (DIT) e supervisore digitale italiano, ultimamente al lavoro anche in Francia. Sandro ci ha raccontato la sua esperienza per quanto riguarda la formazione, il lavoro del DIT su set italiani e stranieri, il delicato rapporto con il direttore della fotografia, e alcuni esempi di lavorazione e di risoluzione di problematiche di immagine sul set. In più, una descrizione della sua attrezzatura, e anche uno sguardo al futuro del cinema digitale... 

Sandro, come hai iniziato, e come sei arrivato a ricoprire il ruolo di DIT (Digital Imaging Technician) nel cinema? 

Come la maggior parte dei non molti altri DIT italiani, non ho seguito alcun tipo di scuola. Il DIT è una figura nata e cresciuta con l'avvento e lo sviluppo del digitale. Il mio vero e proprio inizio è stato come “tecnico macchina” dopo l'uscita della Sony 900 Cinealta, perché mi sono appassionato a quella macchina e di fatto ero il “tecnico del menù”, cioè assistevo la troupe e il direttore della fotografia relativamente all'impostazione della camera e a qualsiasi problema connesso. 

Successivamente sono uscite la Red One e poi la Arri Alexa, vere macchine da presa digitali con sensore super 35 millimetri, e si è cominciato a chiedere ai DIT di seguire anche lo scarico e il controllo dei file, cosa per noi relativamente facile da eseguire. Da lì in poi, un'evoluzione ulteriore, fino ad occuparci di molte altre funzioni di visualizzazione e correzione dell'immagine che in una prima fase non erano pensabili, specie per ragazzi molto giovani come eravamo. 

Perché dici noi e parli al plurale?

Prima di tutto perché non sono l'unico, ma soprattutto perché eravamo di fatto una specie di gruppo di lavoro con altri giovani tecnici digitali cresciuti assieme, che si ritrovava presso i noleggi cinematografici, in particolare presso Technovision/D-Vision di Roma. Ci confrontavamo e scambiavamo informazioni, ci aggiornavamo a vicenda, e la nostra legge non scritta era: se tu hai tre informazioni, ed io ne ho due, insieme ne abbiamo cinque. Ci si scambiava anche lavori e c'era a volte anche competizione. Ma io uso il plurale perché sono cresciuto anche grazie all'aiuto e allo scambio con altri DIT, come Francesco Giardiello, Emanuele Zarlenga, Simone D'Arcangelo e altri.. Quindi la mia scuola è stata anche e soprattutto il nostro gruppo.

Nella tua esperienza, vedi differenze tra il lavoro del DIT sui set italiani e quello sui set stranieri? 

In linea teorica non ci sono grandi differenze. In pratica sì, perché i DIT che lavorano su set stranieri hanno in generale a disposizione più mezzi, e questo è dovuto ovviamente anche ai budget italiani più bassi. Ma ci sono anche altre differenze, ad esempio l'uso della color correction “live” sul set e delle CDL (Color Decision List).

E' una procedura importante e necessaria, in base alla quale il DIT fa una sorta di pre-color correction e crea un look già sul set in base alle indicazioni del direttore della fotografia (DP), e questo viene incluso (tramite le CDL) nei file che arrivano poi in montaggio e quindi in post-produzione.

Lo stesso colorist alla fine del flusso di lavoro può trarre beneficio da questa pre-color, capisce meglio le intenzioni fotografiche del DP e prosegue su quella strada. Il problema è che questa procedura in Italia viene a volte vissuta dalle produzioni come una “forzatura” del DIT ed eventualmente del laboratorio, forse un po' per ignoranza, ma anche per i costi aggiuntivi che può comportare.

All'estero ormai questo tipo di lavorazione è normale e viene anzi richiesta da produzioni e DP, soprattutto perché, oltre a quanto già detto, accelera notevolmente la post-produzione di un film.

Un'altra differenza è nella gestione dei file e dei dati del girato (data management): in quasi tutti i film stranieri il backup del girato viene fatto oltre che su hard disk anche su LTO, ovvero speciali nastri molto sicuri per la conservazione dei dati. In Italia si tende a non farlo, e soprattutto non sul set. 

I non addetti ai lavori potrebbero chiedersi: quanto incide il ruolo del DIT rispetto a quello del direttore della fotografia nel confezionamento finale di un'immagine fotografica di un film?

I due ruoli sono distinti e separati, ma complementari. Al DP spetta l'impostazione creativa della fotografia in base al progetto. Il DIT va in qualche modo a colmare le carenze tecniche del DP, carenze giustificate, intendo. Ad esempio, sul set il DP imposta le luci e la macchina da presa, in base principalmente alle richieste del regista. Il DIT finalizza questo lavoro. In un primo tempo, mettendo a punto giusti livelli di esposizione in base alle luci usate, e lo fa con il DP al suo fianco, ad esempio valutando se un taglio di luce è troppo alto (di intensità), o un controluce troppo forte, etc. Poi passa a creare una prima correzione colore, che sulle immagini a basso contrasto e desaturate delle macchine attuali, dette “flat”, vuol dire effettivamente colorare le immagini e contrastarle, per poterle poi inviare, più naturali, ai monitor della regia, produzione e agenzia (in caso di spot pubblicitari).

Direttore della fotografia e DIT sono una squadra, una coppia che si muove insieme, senza staccarsi mai, l'uno aiuta l'altro. E i consigli del DP su competenze tecniche del DIT sono fondamentali ad esempio per la realizzazione di una buona pre-color correction.

L'incidenza del DIT sull'immagine finale dipende molto dal rapporto che si è creato con il DP. Se alle spalle ci sono 3-4 progetti fatti insieme, allora il DIT può permettersi ad esempio di “consigliare” al DP, nella sua tenda “laboratorio” (dove si gestisce al buio la visualizzazione delle immagini, isolandosi dal set) addirittura degli spostamenti luce o l'uso di diversi corpi illuminanti. Altrimenti il DIT si limita a gestire la color live e e tutti gli apparati digitali e i flussi di lavoro sul set. 

E' importante anche il tuo lavoro con il DP in pre-produzione, e poi in post, vero? 

Sì, in pre-produzione con il DP si scelgono le camere più adatte e in alcuni casi anche le lenti (gli obiettivi). Poi si stabilisce un workflow per il girato. In post-produzione alcune scelte del laboratorio possono essere influenzate dai suggerimenti del DIT, mi capita abbastanza spesso.

Qual è la tua esperienza di collaborazione con direttori della fotografia più “anziani” e cresciuti per gran parte della loro vita professionale con il cinema analogico in pellicola?

E' un lavoro arduo e affascinante allo stesso tempo. Una delle cose che i direttori della fotografia si trovano a dover modificare maggiormente è proprio la tecnica di illuminazione, che con il digitale può cambiare in maniera radicale. Questo tipo di collaborazione e scambio preferisco però portarla avanti soprattutto in pre-produzione, perché sul set non amo discutere troppo di questo e non è buono farlo.

La cosa interessante oggi in Italia è che il DP spesso fa anche l'operatore di macchina, e dopo l'illuminazione del set, alcuni aspetti di controllo dell'esposizione e poi di pre-visualizzazione sono affidate a volte totalmente al DIT. Per questo anche di fronte a grandi maestri a volte ci possiamo permettere di consigliare alcuni tipi di illuminazione.

Quello che come DIT raccomandiamo è comunque il fare tanti provini macchina e luce prima del film, provando obiettivi, proiettori, gelatine (da usare e da evitare), perché potrebbe essere necessario modificare abitudini fotografiche utilizzate in pellicola. Questo senza ovviamente perdere mai lo stile personale del DP stesso.

Paolo Bravi

(fine prima parte)