Sesso, violenza e umorismo nero. Elle, da Cannes 2016

Nelle sale il film di Paul Verhoeven tratto dal romanzo Oh... di Philippe Djian con Isabelle Huppert che ruba la scena

Ed eccolo, finalmente, quel film che, nella sua pre-produzione, ha creato non pochi disagi al suo regista, l'olandese (e, di volta in volta, americano, francese, nell'abilità a immedesimarsi nei codici, negli sguardi e nelle memorie di altre cinematografie) Paul Verhoeven. Realizzato infine in Francia e non più negli Stati Uniti (dove un gruppo di attrici di prima grandezza aveva rifiutato di interpretare il personaggio principale, salvo Jennifer Jason Leigh, però scartata da Verhoeven perché meno famosa delle altre, mentre lui cercava una diva ancora ben presente nell'immaginario collettivo - inevitabile, sorge il pensiero: come sarebbe stato il film girato in ambienti americani...), Elle ha la sua musa in Isabelle Huppert. E uno stile volutamente freddo che ricorda, anche troppo - per gli ambienti borghesi, i quartieri densi di misteri e le pulsioni scatenate da rapporti segreti - l'opera di un maestro di tale indagine sociale e filmica, Claude Chabrol. Con quasi un anno di ritardo (pressoché una prassi per la distribuzione in Italia di molti film presentati nei principali festival) il film che segna il ritorno alla regia per il grande schermo di Paul Verhoeven dopo dieci anni di (quasi) silenzio e che era in concorso a Cannes 2016 è nelle sale italiane. E' il caso, quindi, di aggiungere alcune considerazioni oltre a quelle già dedicate al regista e all'attrice.

Di fronte alle relazioni - familiari, sessuali, sentimentali, d'amicizia - e allo stato di cose che producono, alle sorprese che generano, si può reagire anche con un'esclamazione, da parte sia di un personaggio sia dello spettatore, magari un Oh... che contiene un senso di sospensione, incredulità e curiosità, attrazione e stupore. La pronuncia, nella scena finale, Michèle (Isabelle Huppert) quando l'amica del cuore Anna, che tempo addietro aveva cercato di sedurla, le chiede di trasferirsi, proposta che accoglie ben volentieri - entrambe libere dalla presenza di uomini e altre figure ingombranti. Con quell'esclamazione si conclude anche il romanzo da cui il film è tratto, dello scrittore francese Philippe Djian, e che si intitola proprio Oh... Due ville, una dirimpetto all'altra. Gli uffici dell'azienda di Michèle, specializzata in videogiochi ad alto tasso di violenza e sesso. L'appartamento della madre di Michèle. Personaggi tormentati. Una strage compiuta trent'anni prima dal padre di Michèle alla quale lei bambina assistette complice. Più che vere e proprie storie si tratta di situazioni che mettono in contatto o in fuga la donna e i numerosi personaggi che le stanno attorno e che servono a Verhoeven per ridistribuire gli elementi più significativi della sua filmografia in un film dove la cifra del doppio, soprattutto in funzione teorica (il cinema, i videogiochi; il cinema, la televisione; il film e il suo personaggio), è diffusa ovunque, unitamente a una sottotraccia di umorismo feroce.