Il cinema islandese? Una meraviglia tutta da esplorare

A Milano, all’interno della quinta edizione del festival dedicato alla cultura nordica I Boreali, e in dvd per incontrare film dove coabitano umorismo, dramma, tradizioni, favola, modernità

Un lungo weekend, dal 2 al 5 gennaio 2017, per incontrare la cultura dei paesi nordici europei. Letteratura, cinema, musica, cibo, design. E poi corsi e workshop. Dal mattino alla sera al Teatro Parenti di Milano. È l’appuntamento, imperdibile, organizzato dalla casa editrice Iperborea (specializzata in letteratura nordica) e dal titolo suggestivo: I Boreali - Nordic Festival. Per rimanere nel contesto cinematografico, si parlerà di Ingmar Bergman e del ruolo giocato nella sua produzione, sia filmica sia teatrale, dalla commedia, elemento meno noto del suo lavoro, e si potranno vedere opere di registi finlandesi, islandesi, norvegesi, svedesi, danesi. L’occasione è ghiotta e ci permette di segnalare, dalla sempre più rilevante produzione islandese, due film recenti che anche lo spettatore che non si recherà a Milano e che sarà mosso dalla curiosità di conoscere nuovi orizzonti dell’immagine potrà recuperare essendo usciti in dvd (e prima nelle sale, confermando che una distribuzione attenta alle novità provenienti da aree geografiche marginali è possibile e va sostenuta). Uno dei due titoli, Rams - Storia di due fratelli e otto pecore, è inserito nel cartellone de I Boreali. L’altro, L’effetto acquatico, non compare, ed è un peccato, perché è l’opera postuma di una straordinaria autrice apolide.

Nota soprattutto per l’apporto dato alla musica (Björk, e non solo) e alla letteratura (il premio Nobel Halldór Laxness, e molti altri), l’Islanda, dopo sporadiche apparizioni dal 1948, decennio dopo decennio costruì una cinematografia sorprendente. Ricordiamo solo due cineasti: Friðrik Þór Friðriksson, che dal 1980 dette una svolta decisiva al cinema dell’isola del ghiaccio, e Baltasar Kormákur, dal 2000 figura di primo piano con film girati sia in Islanda (la tragicommedia urbana 101 Reykjavík) sia negli Stati Uniti (Contraband, Cani sciolti); film tutti reperibili in dvd. Avvicinandoci temporalmente, incontriamo anche i due gioielli citati.

Rams - Storia di due fratelli e otto pecore (titolo originale Hrútar, ovvero “pecore”) di Grímur Hákonarson nella sua semplicità rivela lo sguardo di un cineasta sicuro, che sa cogliere le emozioni dei personaggi e rendere intimo lo spazio che li circonda, li mette alla prova. Reykjavík è lontana dalla valle in cui è ambientato il film, dove uomini e animali condividono ogni istante di ogni giorno, fin dai tempi remoti. C’è un indelebile attaccamento a un ambiente respingente ma che non si ha la forza di abbandonare perché quei contadini, quei pastori anziani (a differenza dei giovani che, di fronte a un ennesimo ostacolo, decidono di trasferirsi), non potrebbero risiedere che lì, per loro impensabile adattarsi ai ritmi di una città. Fra loro, due fratelli, vicini di fattoria, che non si parlano da quarant’anni e che ora dovranno cercare di dialogare di fronte a un’epidemia che sta colpendo le pecore. Realismo, surrealismo, tragedia, umorismo trattenuto accompagnano la resistenza dei due anziani, disposti a tutto pur di salvare gli animali superstiti, a intraprendere un pericoloso viaggio fra le montagne nella notte, nella neve, nella bufera. Si pensa al western, per le dinamiche, per i set, per le sfide, ma il pensiero va anche a certa letteratura islandese. Il cammino impossibile dentro la bufera, che cancella ogni orientamento, ogni visione, dove le pecore si perdono e i due uomini cercano, forse trovano, salvezza costruendosi un rifugio nel ghiaccio e abbracciandosi nudi per darsi calore, fa venire in mente tanto le pagine poetiche e estremamente fisiche della trilogia di Jón Kalman Stefánsson iniziata con il capolavoro Paradiso e inferno quanto la scena conclusiva de La cosa di John Carpenter con quei corpi in attesa della fine o di un nuovo inizio.

L’effetto acquatico mostra per stile e contenuti un’idea di cinema differente, a testimonianza della varietà espressa dai registi islandesi. Lo ha diretto, e completato per due terzi, Sólveig Anspach (scomparsa il 7 agosto 2015 all’età di 54 anni). Eppure non ha i segni dell’opera terminale, così pieno di amore per la vita trasmesso da personaggi dalle esistenze tormentate e in movimento, in cerca non dell’isolamento ma dell’incontro, della condivisione di un percorso. Girato in due periodi distinti (il primo in Francia a Montreuil nell’ottobre 2014, il secondo in Islanda nel maggio-giugno 2015), L’effetto acquatico è una commedia romantica venata di fiaba ma per nulla estranea all’attualità, con personaggi, tanto principali quanto secondari, descritti al tempo stesso con passione e sobrietà, filmati da una regista dallo sguardo tenero e morbido, mai esibito, dove, in una struttura libera eppure precisa, non c’è un istante superfluo, dove le ellissi escludono dalla narrazione quel che non è essenziale alla rappresentazione di una storia d’amore che, in suo nome, rende credibile qualsiasi esagerazione.

Perché L’effetto acquatico è, prima di tutto, una commovente storia d’amore, intrisa di umorismo, tra due personaggi che devono fare chiarezza nelle loro vite: il gruista Samir e l’istruttrice di nuoto Agathe. Lei non cerca un’altra relazione, ma come rimanere insensibile alle follie compiute da Samir, goffo, un po’ balbuziente, deciso a inventare qualunque espediente per conquistare il cuore di quella donna? Nella scena più esilarante, Anspach fa incontrare la sfrenata immaginazione di Samir con la questione internazionale più scottante, offrendo una lezione più efficace di qualsiasi analisi politica. Disposto a tutto, Samir va a Reykjavík, dove Agathe sta tenendo il discorso d’apertura del congresso internazionale di istruttori di nuoto. Lui arabo-francese entra in sala spacciandosi per il delegato israeliano. Lei lo provoca invitandolo a parlare. Lui inizialmente spaesato conquista l’uditorio esponendo un progetto israelo-palestinese per la costruzione di una piscina dove entrambi i popoli possano nuotare.

L’acqua è la vera protagonista del film. Quella della piscina di Montreuil (comunale, altro tratto sociale inserito dalla regista, che si ritaglia una breve apparizione nel ruolo della presidente del direttorio). Quella delle fonti calde della natura islandese. Inoltre, L’effetto acquatico dissemina cenni sull’Islanda (il ruolo portante delle donne nella società) e uno sguardo autoironico sulle follie di quel popolo, con una leggerezza diffusa che ci mancherà.