l festival dedica una sezione ai film che ritraggono la vita, le tradizioni, le storie di comunità native. Nel 2002 la Berlinale premiò l’australiano aborigeno Beneath Clouds
Nord America, Russia, Nord Europa. Si viaggia in questi luoghi grazie ai film (di finzione e documentari, cortometraggi e lungometraggi) che compongono la sezione tematica NATIVe - A Journey into Indigenous Cinema del festival di Berlino. Una sezione contenente sia opere appena terminate sia titoli del recente passato per offrire uno sguardo ampio e articolato.
Ricorrendo a immagini in bianconero e a colori, evocando il cinema muto in inquadrature contornate dal nero, la regista Katja Gauriloff, bisnipote di Kaisa, matriarca della comunità Skolt Sámi che abita nell’Artico del Nord, racconta in Kuun metsän Kaisa (La foresta incantata di Kaisa, 2016) l’incontro dello svizzero Robert Crottet con quel popolo, con la ricchezza delle loro tradizioni orali, soprattutto con l’anziana Kaisa, custode di una narrazione tramandata da generazioni. Ad arricchire il film, ci sono inserti d’animazione che illustrano le storie e le leggende raccontate dalla donna.
Negli spazi sconfinati della Tundra russa si è recato il regista Aleksei Vakhrushev che in Kniga Tundry. Povest’ o Vukvukaye - Malen’kom Kamne (Il libro della Tundra. Una storia di Vukvukai - la piccola roccia, 2011) descrive la quotidianità della comunità Chukchi. Le tradizioni nomadiche, l’eredità della conoscenza, l’attività di questi pastori di renne sono minacciate dalle politiche adottate dalla Russia e trovano nell’anziano e rispettato Vukvukai il corpo e la memoria di esse. Come Kaisa, Vukvukai è una vera e propria biblioteca vivente, usando un termine caro alle popolazioni africane.
In un film d’animazione di due minuti, Sloth (traducibile con “pigrezza” o “indolenza”, 2011), la canadese Inuk Alethea Arnaquq-Baril traccia con ironia e prendendo in giro gli stereotipi lo stile di vita degli Inuit. Mentre la stessa regista in Angry Inuk (Inuk arrabbiato, 2016) concentra la propria attenzione sulla tradizione millenaria della cultura Inuit, fonte anche di profitto e sussistenza, della caccia alla foca ostacolata dagli anni Sessanta dalle pressioni di organizzazioni internazionali in difesa dei diritti degli animali. Un film che apre riflessioni su una questione che assume, a seconda dei punti di vista, connotazioni opposte.
Al racconto in prima persona, al diario filmato, ricorre la canadese Inuit Rosie Bonnie Ammaaq che in Nowhere Land (2015) per esprimere il dolore e la tristezza della separazione dal luogo natale e dai modi vita Inuit sull’isola di Baffin, una terra che mette a dura prova chi vi abita ma dalla quale è arduo staccarsi.
Con questa sezione la Berlinale prosegue la sua esplorazione biennale del cinema dei popoli nativi iniziata nel 2013 con film provenienti da Oceania, Australia e Nord America e nel 2015 con l’attenzione rivolta all’America Latina. E proprio a Berlino nel 2002 fu presentato e premiato Beneath Clouds (inedito in Italia, il film si può vedere in streaming gratis senza registrazione su PopcornTv), opera prima di Ivan Sen, regista australiano di madre aborigena e padre croato. Vincitore al festival tedesco del First Movie Award, il film ha per protagonisti una ragazza dalla pelle chiara con madre aborigena e padre irlandese e un giovane della comunità australiana indigena Murri che ha sperimentato la dura sopravvivenza in un carcere di minima sicurezza. Entrambi gli interpreti, Danielle Hall e Damian Pitt, erano all’esordio davanti alla macchina da presa.