Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la Giornata della Memoria. Quali sono i film che commemorano le vittime dell'Olocausto?
Perché parlare di cinema, di Shoah e di campi di concentramento? La domanda non è banale, se si pensa che sul tema del ricordo, sul dovere morale del ricordo, hanno scritto alcuni degli intellettuali più brillanti del secolo scorso.
- Theodor Adorno
- Jean Amery
- Hannah Arendt
- Zygmunt Bauman
- Dietrich Bonhoeffer
- Paul Celan
- Emmanuel Levinas
- Primo Levi
- Friedrich Kellner
- Elie Wiesel
Solo per citarne alcuni.
L'afasia letteraria, se davvero si può parlare di afasia, interrotta delle testimonianze di libri come Se questo è un uomo, volendo limitarsi alla produzione italiana, si è trasformata in un grido d'accusa nei confronti della settima arte. Quale film sul nazismo, quale film sui campi di concentramento, quale film sull'olocausto avrebbe mai potuto rappresentare ciò che è irrapresentabile?
La domanda se l'è posta anche Claudio Gaetani nel suo Il cinema e la Shoah, edito nel 2006, con una prefazione di Moni Ovadia.
Questa la direzione del lavoro di Gaetani. E sempre questa la nostra direzione, che tenteremo di seguire senza alterigia accademica. Quali film esistono sulla Giornata della Memoria? O meglio, quali film (per ragazzi anche, perché no?) puoi vedere prima, durante e dopo questo importante momento?
Senza voler tracciare la storiografia dei film sulla Shoah e senza addentrarsi nelle pieghe, seppur interessanti, di questa parte della storia del cinema, ti proponiamo qui di seguito alcuni film significativi. Ti consigliamo di non leggere queste proposte come se fossero una filmografia sulla Seconda Guerra Mondiale o come se si trattasse dell'elenco completo dei film sul Giorno della Memoria.
Questi titolo sono solo dei deboli fari in un mare magnum ancora largamente inesplorato. A te, una volta preso il lago, il compito di continuare a navigarci.
Film sulla Shoah, che cosa scegliere?
Perché incominciare proprio con un film come La scelta di Sophie? Perché, a differenza di altri titoli, che bazzicano sul piccolo schermo solo nella date contigue alla Giornata della Memoria, puoi vedere questa pellicola sempre, in streaming gratis e senza registrazione su PopcornTv.
La scelta di Sophie, uscito nel 1982, era e rimane un capolavoro e una perla rara nella storia della settima arte. Tanto che nel 2007 l'American Film Institute l'ha inserito al 91esimo posto della classifica dei 100 migliori film americani di tutti i tempi.
La Scelta di Sophie è un film refrattario alle definizioni. Ogni etichetta non basta, non va bene: è un film duro, straziante, tormentato, angosciato e angosciante. E bellissimo. Accanto a Meryl Streep c’erano altri due interpreti eccezionali: Kevin Kline e Peter MacNicol.
La Scelta di Sophie (Sophie's Choice) è un film frammentario, che nell’ovatta rosa di una casa di Brooklyn nasconde cocci aguzzi e taglienti di una verità tremenda, schegge di una realtà che ha ferito a morte Sophie Zawistowska e Nathan Landau. L’una è una donna polacca, immigrata dopo aver subito la terribile esperienza del campo di concentramento di Auschwitz; lui un intellettuale ebreo, brillante, raffinato, ma con oscillazioni d'umore sconcertanti, affetto da schizofrenia paranoide e dipendente dalla cocaina.
Stingo, reduce della seconda guerra mondiale e ultimo angolo del triangolo amoroso tra Sophie e Nathan, è coinvolto e in una certa misura plagiato, da ricordi, emozioni, fobie di un mondo che non conosce. Fino alla confessione di Sophie: il padre, professore all'università di Cracovia, esaltato dalla figlia come uomo buono e giusto, era invece un sostenitore dei nazisti e dello sterminio degli ebrei. Come il padre e il marito, anche Sophie è stata deportata, insieme ai due figli, un maschio e una femmina, ad Auschwitz; all'arrivo al campo di concentramento fu costretta da un tormentato ufficiale a scegliere tra i suoi due figli, decidendo di abbandonare la bimba alla morte; inoltre, pur di salvarsi e salvare il figlio Jan, ha nuovamente collaborato, questa volta come segretaria di Rudolf Höß, il comandante del campo.
In La scelta di Sophie Meryl Streep è formidabile. E vinse il Premio Oscar come Miglior attrice protagonista: non poteva essere altrimenti
Un altro film imprescindibile di questa breve e necessariamente incompleta rassegna è Train de Vie. Tradotto un italiano con Un treno per vivere, il film uscì per la nelle sale cinematografiche per la prima volta nel 1998. La pellicola è il secondo lavoro di Radu Mihaileanu, regista romeno fuggito dalla dittatura di Ceausescu nel 1980. Il lungometraggio debuttò al festival di Venezia, dove ottenne il premio Fipresci a cui è poi seguito il David di Donatello come migliore pellicola straniera. Film tragico e film comico insieme, Train de vie è un'opera che riesce, come scriveva Massimo Bertarelli su «Il giornale» del 18 aprile 2001, «a trasformare l'Olocausto in operetta, ma senza dimenticare l'immensa tragedia».
Il regista Mihaiuleanu cala sul volto di tutti i suoi persanggi una maschera grottesca, che ride e piange allo stesso tempo. Così come fa lo spettatore, che avverte sotto quella sottile patina di stereotipi e caricature, la superficie caustica della tragedia della Shoah. La maschera del grottesco è la prima che compare sullo schermo alla visione del film. È quella che indossa Shlomo, lo schnorrer, il pazzo del villaggio, che avvisa i suoi compaesani che nei villaggi vicini gli Ebrei stanno venendo deportati dai militari nazisti.
Si riunisce così il consiglio degli anziani che, grazie a un'idea di Shlomo, decide di organizzare un finto treno di deportazione, che in realtà accompagni tutto lo shtetl in Palestina passando per l'Unione Sovietica.
Per contiguità tematica, stilistica e narrativa con Train de vie non si può non proseguire l'excursus dedicato alla Giornata della Memoria e ai film con un capolavoro italiano. L'avrai già intuito: si tratta di La vita è bella, di Roberto Benigni, uscito appena un anno prima rispetto alla pellicola succitata, il 1997. Uno dei film sulla Shoah per ragazzi, perchè tutti loro dovrebbero vederelo.
Vincitore di tre Premi Oscar (miglior film straniero, miglior attore protagonista, assegnato ovviamente a Roberto Benigni, e migliore colonna sonora a Nicola Piovani), su sette nomination totali, il film è uno dei più apprezzati di sempre nella storia del cinema italiano. La pellicola vede protagonista Guido Orefice, l'ebreo che che, deportato insieme con la sua famiglia in un lager nazista, cercherà di proteggere il figlio dagli orrori dell'olocausto, facendogli credere che tutto ciò che vedono sia parte di un meraviglioso gioco in cui dovranno affrontare prove tremende per vincere il meraviglioso premio finale.
Ricordando e partendo da quella “mascalzonata” di Mario Monicelli (che così disse del film “quando alla fine [Benigni, ndr ] fa entrare ad Auschwitz un carro armato con la bandiera americana. Quel campo, quel pezzo di Europa lo liberarono i russi, ma... l’Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà”), La vita è bella è un film che va visto proprio in virtù della sua lontananza da ogni afflato e da ogni intento documentaristico. Non è la Storia che devi cercare nel film di Benigni, perché ci troverai anacronismi, semplificazioni al confine dell'assurdo, inesattezze. In La vita è bella è la poesia che devi cercare, insieme alla forza e al coraggio. Troverai tutto, con una carica emotiva che ti spingerà oltre a tutto.
Le note più dolorose della Shoah
Tra i più grandi punti di forza di La vita è bella va sicuramente considerata anche la colonna sonora. E seguendo il film rouge della musica che introduciamo il film Il Pianista. Il lungometraggio, diretto da Roman Polanski, ha debuttato nelle sale nel 2002. Come spesso accade in questi casi, il film è tratto da una storia vera, quella raccontata nel romanzo autobiografico omonimo di Władysław Szpilman.
La pellicola è un crescendo, tragico e drammatico, nella vita del pianista ebreo Władysław Szpilman. Dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale con l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, all'occupazione di Varsavia. Poi la creazione del ghetto, la vita e la sopravvivenza al suo interno e la sua fuga e sopravvivenza al di fuori, fino alla liberazione della città da parte dell'Armata Rossa.
Il pianista non è un film retorico, non è un film che si strugge nella tragicità dei temi che affronta. E nello stesso tempo si allontana dalla dimensione in qualche modo più edulcorata di La vita è Bella e di Train de vie. Non è nemmeno un film sugli Ebrei, o per lo meno non è soltanto questo. È un inno alla dignità umana, una narrazione melodiosa di una tragedia terribile.
A chi pensa che la narrazione cinematografica della Shoah abbia sempre trascurato la banalità del male, per dirla alla Arendt, e la capillarità dello sterminio nazista, vorremmo consigliare un film come La chiave di Sara. Storia vera anche questa, tratta dalle pagine di dall'omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay, la pellicola affronta un episodio poco noto della Shoah durante l'occupazione nazista di Parigi: il rastrellamento del Velodromo d'Inverno.
La contingenza storica: era il 16 e 17 luglio 1942 quando gli Ebrei parigini vennero arrestati dalla polizia collaborazionista francese. Fra di loro c'era anche Sarah Starzynski, una bambina di dieci anni che nascose il fratello Michel in un armadio chiuso a chiave.
La chiave di Sara è un film che certamente merita una visione, poché ha l'indubbio merito diaver gettato luce anche sulle responsabilità non tedesche, “facendo tutti – come scrive Marzia Gandolfi – (poliziotti, funzionari e civili) compartecipi di un errore e di una mancata presa di coscienza”.
Un saluto. Arrivederci ragazzi
Rimaniamo in Francia con Arrivederci Ragazzi, film del 1987 diretto da Louis Malle, ispirato a un ricordo di scuola dello stesso regista.
All'interno delle mura del Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau, nel gennaio del 1944, il giovane Julien Quentin e il fratello maggiore François, stringono amicizia con Jean Bonnet, nuovo allievo della classe che Julien inizialmente percepisce come un rivale, per i buoni risultati a scuola e per la sua bravura al pianoforte. Ma con il tempo nota che è un ragazzo riservato e misterioso: non riceve mai posta, parla poco, non si mescola mai con i compagni. Frugando nel suo armadietto Julien scopre il suo segreto: Jean Bonnet è in realtà Jean Kippelstein, un ebreo che ha trovato rifugio sotto falso nome nel collegio, per sfuggire alle persecuzioni razziali. L'ostilità di Julien si trasforma così in curiosità, poi in amicizia.
Ma che cosa ci sia dietro a quell'«arrivederci ragazzi» lo lasceremo scoprire a te...