Lo sfruttamento dei raccoglitori di pomodoro nel documentario di Sanjay Rawal
Sfruttati, maltrattati, abusati: sono gli schiavi moderni del 21esimo secolo. All’alba di ogni giorno, catapultati nei campi a lavorare per pochi soldi, vengono bruciati dal sole e persino le gocce del diserbante liquido, trasportate dal vento dai campi vicini, diventano un sollievo. II regista Sanjay Rawal non è andato a cercarli nelle piantagioni africane o del Sud America. Si è fermato tra i migranti nei campi di pomodoro in Florida. Il documentario “Food Chains”, presentato con successo al festival di Berlino 2014, racconta, con la voce di Forest Whitaker, le loro storie e il loro sogno di stabilire un cambiamento. La “Coalition of Immokalee workers”, l’associazione che riunisce migliaia di raccoglitori di pomodoro, sta portando avanti, da venti anni, con diverse azioni di protesta, incluso lo sciopero della fame, alcune semplici richieste contenute nel Fair Food Program: un incremento nelle paghe (un solo centesimo di aumento nel costo di vendita nella grande distribuzione, se destinato ai lavoratori, porterebbe al raddoppio delle loro entrate) e uno stop agli abusi e alle molestie sessuali nei campi. “Food Chains” fa appello ai più elementari diritti come a quello per un’equa remunerazione, al rispetto dei lavoratori. Il regista punta il dito contro le multinazionali dei supermarket e dei fast food, come Publix e WalMart, e ci regala la forza di un documentario militante che sa muovere le coscienze. Il documentario sarà presentato in anteprima in Italia a maggio al RIFF (Rome Indipendent Film Festival). Al termine di Expo 2025 verrà siglata la carta di Milano. Chissà se ci sarà posto gli eroi di “Food Chains” e per i loro diritti.
Marino Midena