Oscar 2017, il pregiudizio non è di casa a Hollywood

Moonlight, la vita difficile di un ragazzo afro-americano a Miami, è il miglior film. Quello in lingua straniera va all'iraniano Il cliente di Asghar Farhadi

Oscar 2017 politici, indubbiamente. E ben vengano se serviranno, da parte della comunità artistica hollywoodiana, per contrastare la deriva autoritaria quotidianamente innescata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Miglior film è stato decretato Moonlight del regista afro-americano Barry Jenkins, premiato anche per il migliore attore non protagonista Mahershala Ali (nel ruolo del sensibile trafficante di droga cubano-americano Juan che si prende cura del personaggio principale, Chiron, bambino maltrattato dai compagni di scuola, con madre drogata e padre assente) e per la migliore sceneggiatura non originale dello stesso regista (basata su una storia di Tarell Alvin McCraney).

Miglior film in lingua straniera, anche qui confermando le previsioni, a Il cliente dell'iraniano Asghar Farhadi (che riceve la sua seconda statuetta, dopo avere ottenuto la prima, sempre nella stessa categoria, nel 2012 con Una separazione), assente per via della messa al bando decisa da Trump di cittadini di sette paesi musulmani, tra cui l'Iran (ma anche se per lui si fosse fatta un'eccezione, Farhadi avrebbe rifiutato di recarsi a Los Angeles). Miglior documentario a O.J.: Made in America di Ezra Edelman, ritratto dell'America oggi tra violenza, questioni razziali, celebrità mediatica attraverso una storia - quella dell'ex giocatore di football americano e star televisiva O.J. Simpson, e della sua travagliata odissea giudiziaria, accusato nel 1995 dell'omicidio un anno prima dell'ex moglie Nicole Brown Simpson e del suo amico Ronald Goldman, assolto ma poi nel 2007 incriminato e arrestato per rapina a mano armata e sequestro di persona - che a distanza di anni continua a vivere e fare discutere. Scelta ancora migliore sarebbe stata quella di assegnare la statuetta al miglior documentario a I Am Not Your Negro di Raoul Peck, lavoro che mette in relazione la lotta per i diritti civili degli afro-americani negli anni Sessanta con quella odierna della comunità nera perseguitata dall'intolleranza e dai numerosi omicidi a sangue freddo compiuti dalla polizia. In più, Peck inserisce nel documentario, che si basa sul pensiero dello scrittore James Baldwin, anche brani di film hollywoodiani per mostrare come i neri venivano rappresentati dal cinema mainstream.

Miglior cortometraggio (ma è più un mediometraggio, 41 minuti) documentario a The White Helmets di Orlando von Einsiedel, resoconto dell'attività di un gruppo di soldati sponsorizzati dall'Arabia Saudita in azione in Siria. L'editto di Trump ha colpito anche il direttore della fotografia, il ventunenne siriano Khaled Khatib, fermato all'aeroporto di Istanbul nel suo viaggio verso gli Stati Uniti.

La statuetta più ambita l'ha dunque vinta l'opera seconda del trentanovenne regista di Miami Barry Jenkins che esordì nel lungometraggio nel 2008 con Medicine for Melancholy (inedito in Italia). Moonlight, ambientato nella città natale di Jenkins, descrive tre momenti, tre fasi di passaggio, nella vita di un personaggio (interpretato da altrettanti attori), prima bambino, poi adolescente, infine adulto. Suddiviso in tre capitoli che identificano la crescita del protagonista, e che possiedono valore simbolico (Little, il suo vero nome Chiron, Black), Moonlight è un testo formalmente molto ambizioso e, da questo punto di vista, poco convincente. Jenkins ricorre a uno stile ovunque marcato (riprese dall'alto, dal basso, circolari, macchina da presa distante come se fosse la soggettiva pesante di qualcuno che osserva i fatti), evidente anche nelle scelte musicali. La solitudine e il bisogno di intimità e di amore di Chiron e dell'amico Kevin, che si ritrovano dopo anni, espressa nella scena finale, cristallizza quella tenerezza presente anche altrove, ma sporcata dall'ingranaggio troppo esibito da Jenkins.