Al festival del cinema africano d'Asia e America Latina di Milano i film dei registi italiani descrivono persone e storie evitando gli stereotipi
Sempre più registi italiani viaggiano nel mondo per raccontare persone, situazioni, conflitti, identità in movimento. Scelgono il documentario di creazione, quello che permette di avvicinarsi a donne e uomini e luoghi e alle loro storie con sguardo intimo, coinvolgente, rendendo i soggetti parte attiva, ponendosi al loro livello e non osservandoli e descrivendoli con superiorità. Ovvero, narrazione orizzontale e non verticale. La sezione Extr'A - Razzismo brutta storia della ventisettesima edizione del festival del cinema africano d'Asia e America Latina di Milano (FCAAAL) ha offerto validi esempi di tale modo di fare documentario e, più semplicemente, cinema.
Il film vincitore, Moo Ya di Filippo Ticozzi, è stato girato in Uganda e segue le giornate sempre uguali di Opio, un cieco che vive in uno sperduto villaggio. Fin quando decide di mettersi in cammino senza dare spiegazioni. Il calabrese Tommaso Cotronei si è recato in Yemen, paese poco frequentato dal cinema e ridotto a stereotipo di guerre etniche dai media, per realizzare con budget minimo e notevole attenzione per le persone e gli ambienti The Runaway Bride (presentato in prima mondiale a Milano). Si tratta, a ben vedere, di due film in uno. Da una parte, lo sguardo del regista si posa con familiarità a filmare la terra, le rocce, i vicoli, gli edifici antichi di Sana'a, la campagna - come si trattasse della sua Calabria, altrettanto dura, antica, profonda. Dall'altra, il suo sguardo compone una storia di finzione tra una ragazza fuggita di casa dal marito e un giovane insegnante - perché il diritto all'istruzione è fondamentale, e va garantito a chiunque e ovunque. Luciana Fina, regista e artista italiana residente in Portogallo, con Terceiro andar ha raccontato, con stile originale, la storia di una madre una figlia originarie della Guinea Bissau che abitano al terzo piano di un palazzo degli anni Trenta nel centro di Lisbona (lo stesso dove abita la regista). Un film sulla parola, l'amore, le lingue, e sulla storia di quell'edificio che contiene tra le sue mura, scale, ringhiere, corridoi un'infinità di memorie. Infine, Wiwanana di Iacopo Patierno (anch'esso in prima mondiale), che sorge dall'idea di un gruppo di italiani di trovare in Mozambico cinque persone desiderose di fare gli attori. Incontrano una realtà inattesa, dove il teatro è diffuso e vissuto come segno di aggregazione. La tappa successiva per i prescelti sarà l'Italia e un laboratorio per imparare le tecniche di recitazione e scrivere un testo insieme a Jacopo Fo.