Intervista a Pif, regista e attore del nuovo film In Guerra Per Amore

Nel nuovo film In Guerra per Amore il grande Pif è sia regista che attore e interpreta il ruolo di Arturo, un giovane squattrinato che si arruola nell'esercito per andare in Sicilia

Il 27 ottobre arriva al cinema il nuovo film di Pif dal titolo In Guerra Per Amore incentrato sul “patto” tra gli Americani e la Mafia stretto durante la Seconda Guerra Mondiale. Tra gli altri attori del cast troviamo Miriam Leone, Andrea Di Stefano e Stella Egitto.

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Intervista a Pif 

Pif, In guerra per amore è legato a un doppio filo al suo primo film ma è anche figlio della commedia all’italiana più classica. "Cercavo un racconto che, mantenendo lo spirito del mio primo film "La mafia uccide solo d’estate", mostrasse un piccolo uomo davanti a grandi eventi storici. Un film che, nella migliore tradizione della commedia italiana, facesse scorrere su un binario parallelo una storia privata e la Storia. La nostra ambizione era dar vita - pensando con rispetto, umiltà e senso delle proporzioni – a un capolavoro come "Tutti a casa " di Luigi Comencini, e abbiamo cercato di farlo con una commedia ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Romantica, divertente ma anche amara perché mostra come un evento storico, apparentemente distante, abbia creato le condizioni per l’ascesa della mafia segnando la storia del nostro Paese. Lo spunto iniziale nasce dalla tormentata storia d'amore del giovane siciliano Arturo (il mio personaggio) che, all'inizio degli anni ’40, si trasferisce a New York e inizia a lavorare in un ristorante dove si innamora della bella nipote del proprietario, Flora (Miriam Leone). Vorrebbe sposarla ma lo zio della ragazza l'ha promessa al figlio del boss mafioso locale. Arturo allora, su indicazione di Flora, parte per un paesino della Sicilia per chiederla in sposa al padre. Squattrinato e disorientato, il giovane, pur di arrivare a destinazione, si arruola in maniera bizzarra nell’esercito americano che sta preparando lo sbarco in Sicilia, un evento che cambierà per sempre la storia dell'isola, dell’Italia e della mafia. Si troverà così ad essere testimone di un patto di collaborazione che l'esercito degli alleati angloamericani stipulò con Cosa Nostra e finirà con l'affiancare il tenente Philip Catelli (Andrea Di Stefano), aiutandolo a decifrare la mentalità locale, cercando di spiegargli come vanno le cose in Sicilia e come sono fatti i suoi conterranei. Sullo sfondo, altre storie, come quella di Teresa (Stella Egitto), una giovane donna determinata e fiera che aspetta il ritorno del marito prigioniero di guerra e vive con il figlio e il suocero e quelle di Saro e Mimmo (Sergio Vespertino e Maurizio Bologna), che aiuteranno Arturo ad incontrare il padre della donna che ama". 

Come è nato questo film? "Ho scritto ancora una volta il soggetto e la sceneggiatura con Michele Astori e Marco Martani con l'intento di ambientare una storia nel periodo della Resistenza e in particolare su un momento della Liberazione di cui non si è mai parlato abbastanza, lo sbarco delle forze alleate in Sicilia nel 1943 (un anno prima rispetto a quello in Normandia) che ha segnato indelebilmente il nostro Paese, caratterizzato da un patto di collaborazione e di alleanze strette con la mafia, destinate a durare nel tempo. Volevamo raccontare un fatto inedito, relativo a un periodo storico che si sarebbe rivelato decisivo per decenni. Un aspetto della liberazione poco indagato dal cinema: in "Patton generale d'acciaio", un film del 1970 scritto da Francis Ford Coppola e diretto da Franklin J. Schaffner, ad esempio, il racconto delle vicende belliche del celebre comandante americano che si spostava dal Nord Africa a Napoli evitando qualsiasi riferimento al periodo da lui trascorso con gli Alleati in Sicilia. Nello stesso anno era poi uscita nelle sale anche una commedia di Nanni Loy con Nino Manfredi e Peter Falk intitolata "Rosolino Paternò soldato" che, pur essendo ambientata al momento dello sbarco del 1943, non faceva alcun riferimento alla mafia. L’argomento era assolutamente inedito anche se, in fase di scrittura, abbiamo pensato che forse stavamo ragionando con un'ottica da osservatori dei nostri giorni, dotati di un senso antimafia che all'epoca non esisteva. Dubbi che sono svaniti quando, durante le nostre ricerche, abbiamo scoperto a Londra un documento originale recentemente desecretato che ci ha tolto ogni preoccupazione".

Di quale scoperta si tratta? "Quella del cosiddetto Rapporto Scotten, dal nome dell’ufficiale al quale, nel 1943, fu chiesta una relazione scritta sul tema "Il problema della mafia in Sicilia". Questo rapporto ci ha confermato che la questione mafia per gli americani in guerra era all'ordine del giorno e che, già durante la guerra, il capitano Scotten valutava l'opportunità di combattere la mafia per tenerla sotto controllo, oppure quella di accordarsi e allearsi con Cosa Nostra, ipotesi che avrebbe creato danni incalcolabili di cui il futuro avrebbe presentato il conto, o infine quella di abbandonare l'isola alla mafia e chiudersi in enclave. La lucidità di questa analisi, per cui gli americani e gli inglesi erano pronti a scendere a patti con Cosa Nostra, ci ha colpito molto. Qualcuno potrebbe far notare che gli Stati Uniti, allora come oggi, in guerra si alleano sempre con le forze in campo locali di ogni tipo, scegliendo un ipotetico male minore per combatterne uno maggiore, ma anche loro col tempo hanno capito che il presunto male minore finisce col ritorcersi contro. La base storica su cui abbiamo lavorato durante le nostre ricerche è stata la relazione di una commissione d'inchiesta americana che stabilì - nero su bianco - come si creò l'alleanza, con i soldati americani che ammettevano di essere andati in occasione dello sbarco a chiedere esplicitamente supporto a Cosa Nostra, tanto che in molti paesi piccoli e grandi dell'isola l'elezione di sindaci mafiosi fu prassi proprio per garantire il controllo del territorio”. 

Lei sapeva qualcosa su questo argomento prima di documentarsi per il film? "Non conoscevo questa storia, ho iniziato a studiarla circa due anni fa, mentre preparavo una serata speciale Rai condotta da Fabio Fazio in occasione dei 70 anni della Festa della Liberazione. Mi avevano chiesto di fare un collegamento dalla spiaggia di Gela, dove avvenne lo sbarco delle Forze Alleate. In quei luoghi ho incontrato parecchi novantenni che ricordavano benissimo i soldati americani sull'isola, attesi da tempo, e usavano tutti l'espressione "non si vedeva più il mare". Una località così importante da un punto di vista storico in altri Paesi sarebbe stata subito celebrata ma da noi finora non è mai successo, sarebbe interessante e importante invece poter allestire in zona un museo simile a quello che testimonia lo sbarco costruito a Catania, nell'ex zona industriale delle Ciminiere".

Che cosa avete scoperto sugli "accordi indicibili" dell'epoca destinati a durare nel tempo? "Secondo la "vulgata" più nota, nel 1943 gli americani chiesero il permesso alla mafia per sbarcare sull'isola ma questo non è vero perché la decisione fu presa ad altissimi livelli da Churchill e Roosevelt insieme a Stalin. Può anche darsi che qualche storico sposi la tesi del male minore, essendo stata la Sicilia la prima zona dell'Italia e dell'Europa ad essere liberata dagli alleati. Dai documenti dei servizi segreti americani risulta evidente che la mafia non è stata considerata come un'organizzazione da tenere alla larga in quanto criminale ma come un interlocutore alla pari. Quello che l'opinione pubblica non sa, o sa molto poco, è che la mafia dal 1943 in poi entra in un equilibrio mondiale che le permette di prosperare perché si pone in chiave anticomunista (nel 1943/44 in Sicilia il PCI è più forte della neonata Democrazia Cristiana e sta per essere realizzata la riforma agraria). Cosa Nostra ha avuto il compito di mantenere un equilibrio e un ordine prestabilito, in fondo gli alleati liberarono il Nord grazie ai partigiani e il Sud grazie alla mafia. Noi mostriamo come il boss Lucky Luciano venne scarcerato negli Stati Uniti ed estradato in Italia “per servizi resi durante la seconda guerra mondiale": gli americani non conoscevano la Sicilia e iniziarono a conoscerla tramite la mafia e questi contatti rappresentarono l'inizio di un patto destinato a protrarsi nel tempo, con la Repubblica italiana che avallò questa scelta. "In guerra per amore" potrebbe essere considerato il prequel del mio precedente "La mafia uccide solo d'estate" perché, in pratica, spiega come siamo arrivati alla mattanza… Il nostro racconto si ferma però al 1943, tutto arriva dopo, quando simbolicamente la mafia prende il potere, noi diamo solo un campanello d'allarme attraverso un monologo finale di un mafioso che prevede e annuncia quello che succederà nel nostro Paese nei decenni successivi: da allora in poi si apre un mondo che noi non affrontiamo anche se la logica porta direttamente a certe conclusioni. Sono state provate nel tempo le sistematiche repressioni delle attività sindacali, i legami della mafia negli anni '60 e '70 con i tentativi di golpe neofascisti, con associazioni e crimini di estrema destra, la loggia massonica P2 eversiva e reazionaria e le esecuzioni plateali degli esponenti progressisti di qualsiasi schieramento per cui è lecito concludere che sino alla fine degli anni 70 non c'è mai stata in Italia una reale volontà politica di combattere Cosa Nostra. Non è un caso che l'equilibrio generale si incrini dopo il 1989 quando con il Muro di Berlino in pezzi cade ogni paravento; due mesi dopo la sentenza definitiva del maxiprocesso a Palermo viene ucciso il politico di riferimento della mafia, Salvo Lima, e cambia il vento.”

La preoccupano le reazioni di politici e storici? "Probabilmente non andrà tutto liscio come per il mio primo film ma storicamente quello che raccontiamo è inattaccabile: ho sottoposto la sceneggiatura a vari storici e tutti mi hanno dato il loro assenso. I libri pubblicati sull'argomento non sono moltissimi, ma tendenzialmente i fatti sono quelli e rivelano, ad esempio, che il governatore della Sicilia Charles Poletti, neoeletto dopo lo sbarco e responsabile degli affari civili e militari, una volta trasferitosi a Napoli aveva accanto a sé come braccio destro e interprete il boss Vito Genovese. Alcune fonti, poi, affermano anche che l'allora diciannovenne VitoCiancimino, futuro sindaco di Palermo condannato per mafia, all'epoca aiutava Charles Poletti come traduttore a Palermo, ma sono in corso dispute tra studiosi, questa parte storica è stata tenuta volutamente tra parentesi".

Come ha scelto i suoi attori? "Tutti attraverso vari incontri e provini filmati, tranne Miriam Leone perché ero sicuro, fin dall'inizio, che la Flora che cercavo fosse lei, la conoscevo un po' e non avevo dubbi. Una certa difficoltà si è manifestata per il ruolo di Philip Catelli, mi serviva un attore che parlasse bene l'italiano e l'inglese senza accento, non c'erano molti candidati ma poi mi hanno suggerito Andrea Di Stefano e sono stato fortunato, quando l'ho incontrato e filmato durante le prove ho capito che era perfetto per il ruolo. Stella Egitto l'avevo conosciuta in occasione del mio primo film quando cercavo l'attrice giusta per interpretare il ruolo della protagonista da grande (per cui poi ho scelto Cristiana Capotondi) e ne ero rimasto molto colpito, poi la bambina scelta era bionda e Stella era bruna e ancora troppo giovane e non se ne fece nulla. Ma stavolta era giusta e ho pensato subito a lei. Stella nella parte funziona benissimo, credo sia destinata a una grande carriera perché è un'attrice seria e appassionata che studia, si documenta e si impegna molto. Per il ruolo di don Calò, impegnato nel monologo finale, ho scelto poi Maurizio Marchetti perché era tendenzialmente giusto e intonato. Mi piacerebbe lavorare sempre con gli stessi attori, come se fossimo un gruppo di amici che ogni tanto si riuniscono e decidono di fare qualcosa di concreto insieme".

Un po’ come sta accadendo anche con Wildside… "Volevo che questo mio secondo film fosse più piccolo e agile rispetto al precedente, ma il produttore Mario Gianani mi ha detto "facciamone uno grande". Accettando mi sono ritrovato a vivere la mia prima vera e propria impresa da regista: ho imparato tanto nel lavoro di documentazione e ricerca e in fase di sceneggiatura e, inoltre, il set è stato sempre molto impegnativo con decine di comparse. È un film visivamente molto ricco, oltre gli standard dei recenti film italiani: c'è stata una sorta di vena di incoscienza che, se va tutto bene, ci premierà."

Dove avete girato? "Abbiamo utilizzato il Cinecittà World, un parco di divertimenti alle porte di Roma, per filmare diverse scene ambientate nella finzione a New York mentre è stato difficile ricreare i luoghi e le atmosfere dell'epoca in Sicilia, perché non volevo località dove fossero stati girati altri film in passato: ho deciso di inventare una cittadina che non esiste e ho scelto Erice, un paesino sopra Trapani, a 700 metri sopra il mare. Gli altri set del film sono la Scala dei Turchi, nell'agrigentino, e Segesta, nella Sicilia nord occidentale di fronte al cui Tempio si racconta che il generale Patton abbia detto: "Ma come mai manca il tetto? Lo abbiamo bombardato noi?"