La recensione del nuovo film di Daniele Luchetti con Marco Giallini ed Elio Germano
“Noi italiani abbiamo un sogno nel cuore, Berlusconi a San Vittore” hanno gridato al leader di Forza Italia nel 2014, durante il suo primo giorno ai servizi sociali in seguito al processo Mediaset. Questo episodio ha spinto il regista Daniele Luchetti a scrivere, insieme a Sandro Petraglia e Giulia Calenda, Io Sono Tempesta, il suo nuovo film nelle sale italiane dal 12 Aprile.
Marco Giallini è Numa Tempesta, un imprenditore milionario che abita da solo in un enorme albergo di lusso non operativo. Pensa sempre ad un modo per guadagnare più soldi, sfruttando il suo talento per gli affari e la sua personalità egoista e arrivista. Un giorno però i suoi consulenti legali lo mettono di fronte ad una scomoda realtà: una vecchia condanna per evasione fiscale lo costringe a scontare un anno di pena ai servizi sociali, in un centro di accoglienza di Roma. Per evitare la prigione egli accetta la sfida, mettendosi al servizio di un gruppo di senzatetto. In particolare instaura un rapporto speciale con Bruno, un giovane padre single interpretato da Elio Germano, che sta cercando di rimettersi in piedi, soprattutto per assicurare un futuro al figlio, costretto a dormire per strada con lui. Ma Numa è fatto così ed è difficile fargli cambiare idea e atteggiamento, forse per qualcosa che è collegato al suo passato.
Io sono Tempesta: un'opera buffa priva di buonismo
Io Sono Tempesta si traveste da commedia sociale, ma è più simile ad “un’opera buffa” che presenta una società costruita su un modello americano, in cui non esiste una via di mezzo tra ricchi e poveri. Giallini e Germano ricordano per certi versi i protagonisti di Una Poltrona per Due di John Landis, ma contribuiscono insieme a tratteggiare un piccolo affresco tragicomico. Luchetti, tuttavia, non si lascia andare ad un eccessivo buonismo, raccontando la classica storia di riscatto di un’anima corrotta che, grazie ad una esperienza a contatto con chi sta peggio di lui, attua la propria redenzione. Come molti dei suoi film precedenti, in Io Sono Tempesta è difficile distinguere i buoni dai cattivi, ma si prova a raccontare un problema sociale in un modo diverso dal solito. L’Italia appare come un paese che rovina le persone che vi abitano, che siano essi virtuosi o truffaldini. “Va bene l’empatia e l’ascolto, ma sarebbe meglio per loro trovare un lavoro!” ha raccontato il regista, parlando della gente incontrata nei vari centri di accoglienza visitati durante la lavorazione del film.
Io sono Tempesta: personaggi autoironici
Difficile immaginare un film con Marco Giallini che non rubi qualche risata. Infatti Io Sono Tempesta diverte ed è guidato da personaggi autoironici ben scritti. Tra Germano e Giallini si avverte una buona alchimia, anche se la scelta di coinvolgere attori improvvisati al fianco di professionisti, in questo caso si rivela una scelta vincente. Numa Tempesta è una sorta di Scrooge: ama la solitudine, vive per accumulare ricchezze e si relaziona solo con escort sensuali senza alcun coinvolgimento sentimentale. Bruno invece è un ragazzo semplice che ama suo figlio. La sua gestualità è coreografica e sottolinea quella romanità scanzonata e umile che abbiamo imparato ad amare sul grande schermo proprio grazie a Giallini, Edoardo Leo, Valerio Mastrandrea, Claudio Santamaria e altri. Convincente anche Eleonora Danco nei panni di Angela, la direttrice del Centro di accoglienza poveri che crede fermamente nel suo lavoro e manifesta la sua fede religiosa con un pizzico di fanatismo che alimenta l'ironia di Tempesta. I toni drammatici sono sfumati, e l’idea di povertà affrontata dalla sceneggiatura sembra più vicina alla vecchia commedia all’italiana, in cui si sorride di una scarpa rotta o di una cena rimediata. Luchetti sceglie il registro di un neorealismo sospeso, avvolgendo una visione verosimile del conflitto di classe in un’atmosfera alternativa.
La confusione di Io Sono Tempesta
Mentre la stazione Termini è affollata di senzatetto e le sponde del Tevere degradate, l’albergo fantasma in cui abita Tempesta offre l’occasione al regista di condurre suggestivi campi lunghi per esplorare le numerose stanze e i lunghi corridoi che ricordano inevitabilmente l’Overlook Hotel di Shining. Impossibile non collegare la scena del bambino a bordo del kart con la corsa di Danny sul triciclo nel capolavoro di Stanley Kubrick. Forse troppo pretenziosa come citazione, ma il contrasto tra il realismo della Capitale e i luoghi stranianti della dimora del potente, rende Io sono Tempesta un film curioso ed intrigante. Tuttavia la forma e il contenuto sono a tratti sconnessi e il film non convince pienamente lo spettatore a livello narrativo. Forse Luchetti doveva rinunciare a qualcosa e concentrarsi maggiormente sull’idea di una commedia sociale e solidale. In alcune scene la commedia sembra scontrarsi bruscamente con il dramma tradizionale, indebolendo la struttura del film. I personaggi non inseguono un messaggio positivo, ma si lasciano trasportare dagli eventi, limitando un’evoluzione emotiva personale. Come se Luchetti volesse dire al mondo che, in fondo, siamo fatti tutti della stessa pasta, tutti corruttibili e in cerca di gloria, costi quel che costi. p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; font: 11.0px 'Helvetica Neue'; color: #000000; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none}
Ma potrebbe essere anche solo un tentativo di confondere le acque, costringendo il pubblico a riflettere sulle cause di questo tipo di società in cui viviamo ormai da molti anni, in cui l’indifferenza e la sete di successo spesso prendono il sopravvento senza chiedere il permesso. D'altra parte lo stesso regista lo ha definito "un film sulla confusione" durante la conferenza stampa di presentazione a Roma, quindi ai posteri l'arua sentenza.