Quando si fa un film pensando già a quello successivo, il risultato non può essere dei migliori. Il ritorno dei dinosauri in Jurassic World – Il regno distrutto è sgonfio e confuso: la saga continuerà e per risollevarla ci vorrà un miracolo
Posso ritenermi una fan appassionata della trilogia Jurassic Park e mi sono divertita tantissimo con il reboot del 2015: Jurassic World ha avuto il merito di proporre nuovamente l'intrattenimento giurassico sfruttando le tecnologie moderne e un impianto narrativo così elementare e ben costruito da riuscire ad entusiasmare anche gli spettatori meno ingenui. La coppia dei due nuovi protagonisti formata da Chris Pratt e Bryce Dallas Howard nel primo capitolo funzionava alla grande e i raptor ammaestrati rappresentavano una linea narrativa degna di attenzione. Insomma l'avvicinamento a Jurassic World – Il regno distrutto era pieno di aspettative. Il sequel, che segna un cambio di comando in cabina di regia dove da Colin Trevorrow (Il libro di Henry) si cede il posto ad Juan Antonio Bayona (The orphanage), però scricchiola fin dall'inizio e la colpa non è dei dinosauri ma della sceneggiatura schizofrenica che non si concentra su ciò che accade qui ma pensa già al terzo capitolo della saga, inserendo talmente tanti elementi da infastidire.
Jurassic World - Il regno distrutto: la trama
La storia di Jurassic World riprende a tre anni di distanza da quando il parco tematico è stato distrutto dai dinosauri scappati dalle gabbie di contenimento, causando moltissime vittime. Isla Nublar adesso è abbandonata allo stato brado, nella giungla vivono in modo selvaggio e naturale i dinosauri sopravvissuti. Sull'isola però si è risvegliato il vulcano, le creature giurassiche sono di nuovo in pericolo di estinzione, tutto questo pone al mondo un dilemma etico e anche legislativo: salvare i dinosauri - creature di distruzione e fonte di speculazioni, ma pur sempre creature vive - oppure lasciare che per la seconda volta la natura faccia il suo corso, spazzando via gli esemplari di cui si perderebbe nuovamente testimonianza?
I due protagonisti del film sono come sempre Owen (Chris Pratt) e Claire (Bryce Dallas Howard): lui disperso nella natura a costruirsi un futuro solido, lei invece al lavoro come attivista che lotta per i diritti dei dinosauri. I nostri si ritroveranno di nuovo su Isla Nublar grazie ad un filantropo che decide di investire tutto in una missione animalista per portare in salvo quante più creature giurassiche si riesca. Tutto sembra fare onore ai mandati di questo progetto, ma il complotto è dietro l'angolo.
La sceneggiatura pesa quanto un dinosauro
Come già si avverte dalla sinossi, Jurassic World – Il regno distrutto fa davvero fatica a decollare. Per far combaciare i pezzi dell'ingranaggio e permettergli di spiccare il volo ci vuole più di mezz'ora. La ricerca di una giustificazione alla natura stessa del sequel (perché dovremmo continuare questa storia? Cosa possiamo aggiungere?) rende contorto il centro del racconto. Sembra infatti quasi ovvio che dopo tutti i morti che ha causato la scelleratezza umana nel riportare in vita i dinosauri, palesemente incontrollabili, la soluzione sia una: quella di seguire la natura e salvaguardare la specie umana.
Di questa idea si fa carico il Professor Ian Malcolm (come sempre interpretato da Jeff Goldblum) che con i dinosauri ha avuto a che fare in tutta la saga Jurassic Park, sottolineando come l'essere umano a causa della sua megalomania e della sua avidità abbia creato sfacelo e distruzione nei secoli in tutto il mondo.Ma perché scatenare il dibattito mondiale, far passare come ingiusta la decisione di volersi disfare dei dinosauri, per poi rimescolare le carte e proporre una visione in cui la vita vince su tutto, favorendo una visione naturalistica quando qui di naturale non c'è più nulla?
Jurassic World – Il regno distrutto è schizofrenico e stereotipato
Il film è contraddittorio nei suoi presupposti, ma qui in fondo siamo di fronte ad un'avventura fantastica che tirando le somme si lascia vedere fino in fondo. L'intrattenimento c'è, seppur lacunoso e confusionario, anche se la tensione ormai è questa sconosciuta, anche se le scene action, girate benissimo, sono fini a se stesse. In qualche modo in fondo al film ci si arriva (ricordatevi che dopo i titoli di coda c'è un post credit), ma Jurassic World – Il regno distrutto sembra non aggiungere altro alla saga, se non una corsa affannata che cerca di tirare avanti per più di due ore, anticipando la probabile linea narrativa del terzo capitolo. In questo film si è perso anche l'incanto di trovarsi di fronte alle meravigliose creature giurassiche: in questo senso c'è solo una scena degna di nota, un momento che stringe il cuore e riavvicina alla meraviglia che questa saga vuol ricreare. La scena, per cui va grande merito a Bayona, è quella in cui si vede un Bracchiosaurus con un tragico destino. La magia però dura pochissimo. Quello che proprio non si digerisce sono le scelte senza senso della maggior parte dei personaggi, la superficialità con cui molte situazioni vengono messe in scena e l'irritante stereotipia (che non è una colpa se ben costruita) sterile. L'unica cosa che continua ad interessare in questa saga è il rapporto alla pari tra la velociraptor Blue e Owen: lui nonostante provi dei sentimenti per quella creatura, sa dove il loro rapporto può estendersi. Se il film avesse sviluppato di più questo aspetto sarebbe stato di gran lunga più interessante.
Chris Pratt e Bryce Dallas Howard non funzionano più
Una delle cose che mi era piaciuta di più di Jurassic World del 2015 era la coppia di personaggi protagonisti. Owen e Claire, opposti ma complementari, divertenti nei piccoli siparietti, sono praticamente scomparsi in questo sequel. Le battute fra i due protagonisti, lui logorroico, lei che da perfettina si è votata all'animalismo più becero, non regalano soddisfazioni. Sono scontati e fiacchi, fra loro non c'è empatia eppure durante il film è accennato che a loro batte il cuore l'uno per l'altra. Peccato che il cuore non lo facciano battere anche a quelli in platea.
Poi ci sono due comprimari, due attivisti che seguono Claire su Isla Nubar per salvare i dinosauri. Da un lato lei, una ragazza cazzuta, medico (quindi non stupida, ma credo che nel 2018 non sia importante ribadire che le donne possono avere dei ruoli di rilievo in questa società) con i tatuaggi, che si sporca le mani e non ha paura di niente; dall'altro lui, nerd e cervellone dell'elettronica, fifone in ogni dove e dalle battute che dovrebbero far ridere ma generano acidità di stomaco. Insopportabili.
I dinosauri di Jurassic World – Il regno distrutto come metafora dell'etica umana
E poi c'è una bambina a cui è affidata la più grande innocenza, quella che gli esseri umani hanno completamente perso in questo mondo fagocitato dall'individualismo e dalla miseria morale. Attraverso questa parabola fantastica, gli sceneggiatori del film hanno calcato la mano sulla sensibilizzazione ad essere meno affamati e più riflessivi. Peccato che questa metafora sia a carico proprio dei dinosauri, creature distruttrici (quelli carnivori ovviamente) che solo con manipolazioni genetiche possono unire istinto ad un barlume di ragione. Nulla di naturale insomma. Nonostante la supervisione del Maestro Steven Spielberg, produttore esecutivo del film, Jurassic World – Il regno distrutto fa una voragine nell'acqua.
Voto: 5