Come sarebbero oggi i film di Ingmar Bergman?

Alla domanda risponderanno sei registi, connazionali del maestro, chiamati a realizzare altrettanti cortometraggi per il progetto Bergman Revisited in occasione del centenario della nascita dell’autore svedese

Non si può fare a meno di Ingmar Bergman e del suo cinema. Ogni (ri)visione di un film del maestro svedese è fonte di scoperte, apre spiragli inediti, conduce verso zone inesplorate, percorsi ricchi di sempre nuove sfumature e dettagli. Non sorprende, così, che sia nato il progetto Bergman Revisited, iniziativa di Swedish Film Institute e SVT (The Swedish Public Service Broadcaster) per celebrare i 100 anni dalla nascita del regista (l’anniversario cadrà il 14 luglio 2018). L’idea dei promotori è semplice. La realizzazione, tutt’altro che tale. Tutto parte da una domanda: come sarebbero i film di Bergman, per esempio Persona, Monica e il desiderio, Scene da un matrimonio, oggi? Il quesito è stato girato a sei cineasti svedesi, non estranei alla poetica bergmaniana, che avranno il compito di girare altrettanti cortometraggi (di finzione), ognuno non superiore ai dieci minuti, ispirati al cinema di Bergman. Potranno basarsi su un film specifico, un personaggio, un ambiente o su altri aspetti connessi all’universo dell’autore de Il posto delle fragole. I sei lavori avranno l’anteprima mondiale al festival del cinema di Göteborg del 2018. La scelta non è casuale, infatti Bergman fu presidente onorario del festival fino al 2007, quando morì (quest’anno ricorre il decennale della sua scomparsa, il 30 luglio 2017).

Nato a Uppsala il 14 luglio 1918, Bergman è stato regista teatrale e cinematografico, e uno dei massimi protagonisti del cinema europeo; autore radicato nella cultura teatrale e letteraria del suo paese, si è interrogato sui temi universali dell’esistenza umana, come il conflitto generazionale, il silenzio di Dio, l’incomunicabilità tra le persone, la percezione della morte e della malattia, la crisi della famiglia e delle relazioni di coppia, le pulsioni nascoste dietro la maschera della persona. Dopo un iniziale periodo di ricerca e di sperimentazione, oscillante tra le influenze del naturalismo e le sperimentazioni di ascendenza espressionistica, la sua ricerca stilistica si è mossa nel segno dell’essenzialità, affidandosi sempre più a una scrittura fortemente cinematografica e alle interpretazioni di un gruppo di fedeli attori, di cui hanno fatto parte, tra gli altri, Bibi Andersson, Liv Ullmann, Ingrid Tulin, Gunnar Björnstrand, Erland Josephson e Max von Sydow. Tra i molti riconoscimenti, ha vinto il Premio speciale della giuria al festival di Cannes nel 1957, con Il settimo sigillo, e alla Mostra del cinema di Venezia nel 1959, con Il volto (1958). Nel 1983 Fanny e Alexander (1982) ottenne quattro premi Oscar.

A districarsi nel pensiero bergmaniano saranno registi di diversa formazione. Tomas Alfredson (Lasciami entrare, la talpa) firmerà Bergman’s Reliquarium, suggestivo e misterioso fin dal titolo. Jane Magnusson con The Bone continuerà a incamminarsi nell’opera del maestro, avendo già realizzato nel 2013 il documentario Trespassing Bergman. Su soggetti più concreti agiranno gli altri autori coinvolti: la segreta relazione tra un uomo e una donna in Scenes from the Night di Pernilla August (ha recitato in Fanny e Alexander e in Con le migliori intenzioni, 1992, di Bille August, scritto da Bergman e biografia dei suoi genitori; dietro la macchina da presa ha esordito nel 2010 con Beyond); la reazione dei genitori quando scoprono che la figlia è nata con delle ali in Ariel del regista teatrale e televisivo Linus Tunström; il silenzio e la rottura di esso all’interno del rapporto sentimentale tra due donne in God’s Silence di Lisa Aschan, che aveva già indagato intime relazioni femminili nel suo lungometraggio d’esordio Apflickorna del 2011; la crisi di una coppia sposata in The Infection di Patrik Eklund, attivo soprattutto nel cortometraggio e in lavori per la televisione.