L'arte della cinematografia: un tributo di Vittorio Storaro

Da Bitzer a Toland, da Rotunno a Lesnie, 150 “scrittori di luce” raccontati da altri “scrittori di luce”

Serviva proprio, in un’epoca in cui la parola “estetica”, nel senso più profondo del termine, è sparita non solo dalla vita quotidiana ma dalla stessa pratica cinematografica, un libro che vi tornasse a fare i conti sotto forma di tributo ai maestri che, nella settima arte, si sono messi al suo servizio.

Se l’”estetica” è l’essenza stessa del cinema, questo libro non poteva che intitolarsi “L’Arte della Cinematografia”. E non poteva che essere curato, nella composizione delle immagini, dal grande Vittorio Storaro. Insieme a lui, una compagine di altissimo livello, composta, per l’aspetto redazionale, da Bob Fisher e Lorenzo Codelli e, per i contributi e le testimonianze, da Luciano Tovoli, Gabriele Lucci e Daniele Nannuzzi, oltre che dallo stesso Storaro.

All’interno, una carrellata esemplare di 150 “autori” della fotografia cinematografica, ognuno dei quali abbinato a un suo “film simbolo”. E così si va dal Billy Bitzer di Intolerance all’Albert Duverger di L’Age d’or, da Roland Totheroh di Luci della città a Ernest Haller di Via col vento, da Gregg Toland di Quarto Potere a Boris Kaufman di Fronte del porto, da Gianni Di Venanzo di 8 ½ a Peppino Rotunno del Gattopardo, da Michael Chapman di Toro scatenato a Takau Saito di Ran, fino ai giorni nostri, dove troviamo tra gli altri talenti come Janusz Kaminski di Schindler’s list o Andrew Lesnie della Trilogia del Signore degli anelli.

Insomma, come recita l’introduzione del libro, un omaggio da “Scrittori di Luce” a “Scrittori di Luce”. Per ogni direttore della fotografia, una nota biografica e filmografica e soprattutto racconti e testimonianze, virgolettate, sulla vita di set e le strategie artistiche per ottenere certi risultati. Come quando Don Burgess, direttore della fotografia di Forrest Gamp, racconta il momento indicabile in cui girarono la scena in cui Forrest visita la tomba di Jenny: “… Il macchinista che spingeva il dolly non riusciva a trattenere le lacrime…”. O quando Stanley Cortez, direttore della fotografia ne “L’orgoglio degli Amberson”, ricorda il suo primo giorno di set come operatore alla macchina del grande direttore Arthur C. Miller: “Ero deciso a non commettere il minimo errore. Guardavo nel mirino, ma non appena l’autopompa entrò nell’inquadratura, la macchina da presa si spostò in avanti e io caddi per terra trascinandomela dietro. Ci fu una risata generale. Più tardi Arthur mi confessò che aveva allentato una vite del treppiede. Quando si gira un film, mi confidò, bisogna anche divertirsi…”.

Un volume prezioso, realizzato da Aurea s.r.l. e pubblicato dall’editore Skira, di grande cura estetica (non poteva che essere così) e attenzione qualitativa, sia nella veste formale (carta, formato, rilegatura) sia in quella grafica e redazionale. Impreziosito da un Dvd di presentazione del libro. Uno di quei volumi da tenere per tutta la vita nella propria biblioteca, per consultazione e memoria dell’immortalità del grande cinema e di chi ha contribuito a renderlo tale.

 

Luigi Sardiello