La nuova serie di Rai Tre, Non uccidere, è un poliziesco che prova a modificare lo stile delle fiction italiane
Per parlare di serialità televisiva la prima cosa che viene spontaneo fare è confrontarsi con quello che fanno dalle parti dell’HBO, di Netflix, Showtime, insomma le cose che molti vedono, magari in streaming con sottotitoli, ben prima della messa in onda in Italia. È vero che sono queste le realtà che stanno determinando un cambio di paradigma, che stanno rivoluzionando il linguaggio audiovisivo della fiction (se conviene ancora chiamarla così) e non, determinando questa Età dell’Oro delle serie tv.
Questa volta, invece, vediamo cosa succede a casa nostra. Il confronto è sempre duro, spesso snobbato dagli addetti ai lavori perché l’accostamento tra i nostri prodotti e quelli d’oltreoceano non regge, ed è anche inutile farlo. Però, qua e là, qualche cosa sembra muoversi, o almeno si prova a rinnovare il linguaggio, il confezionamento dei singoli prodotti. Il problema è che il pubblico italiano deve essere rieducato a vedere le storie che raccontano il nostro paese, la nostra realtà, perché si è troppo abituato a un tono melodrammatico che attraversa i personaggi della finzione e le loro storie. Di fatto, il grosso problema della fiction italiana è che non sviluppa le storie, involucra i personaggi dentro un’idea e confina tutto il resto in funzione di questo involucro: mancano le storyline, la ridistribuzione dei ritmi, la cura dei personaggi secondari e soprattutto, e qui siamo proprio deficitarii, gli sfondi non si muovono, lo sfondo delle azioni è privo di vita denunciando la falsità del tutto.
Parliamo della nuova serie in onda su Rai Tre, Non uccidere. Serie poliziesca, quindi in buona compagnia, che arriva lì dove la nostra serialità si dilunga protraendo oltremodo prodotti che, in alcuni casi, hanno più di dieci anni.
Non siamo di fronte allo sperimentalismo, ma sicuramente Non uccidere tenta di rinnovare e offrire un nuovo orizzonte alla serialità italiana. Non è la prima, anzi, ma il fatto è che prodotti del genere sono stati veramente troppo pochi negli ultimi anni (Romanzo Criminale – la serie, Gomorra, il remake di In Treatment, e tutti a marchi Sky). Quindi, che sia la Rai a provarci non può che essere una nota di merito. Così come va bene l’idea de Il giovane Montalbano, che sfrutta un successo immenso diventando della serie calssica, un prequel a tutti gli effetti, e aspettiamo il ritorno de L’ispettore Coliandro, forse la serie che prima di ogni altra è riuscita nell’aggiornamento del linguaggio (e infatti a Rai Due non hanno saputo fare niente di meglio che chiuderla ma che ora, dopo cinque anni, sta per tornare a fine ottobre).
Non è un caso che tutti i titoli sopracitati siano di genere. È il genere (poliziesco, horror, fantascienza, ecc.) che grazie alla sua rigidità liquida si lascia manipolare, ma bisogna saperlo fare bene perché è vero che è più facile lavorare dentro gli stereotipi piuttosto che inventarne di nuovi ma bisogna sapere usare i codici espressivi (narrativi e visivi) nella giusta maniera.
Non uccidere è realizzato dallo stesso team creativo di 1992, racconta dell’ispettrice Valeria Ferro (Miriam Leone) alle prese con casi di omicidio ma che deve fare anche i conti anche con il suo passato, soprattutto con la madre (Monica Guerritore) appena uscita dal carcere dove ha scontato una pena per omicidio , colpevole dell’omicidio di suo marito, il padre di Valeria stessa.
Le storie delle singole puntate prendono spunto da fatti di cronaca recenti e hanno il coraggio di inoltrarsi dentro i meandri delle vite dei comprimari di puntata, allargando l’orizzonte narrativo; di per sé non è più tanto importante risolvere il caso d’omicidio quanto capire l’ambiente che a causato il delitto senza fare sociologismi.
Una scrittura che non riguarda solo le trame degli episodi ma anche i personaggi che si raccontano all’interno delle storie. Queste cose in Non uccidere ci sono, finalmente, ma ancora faticano a definirsi interamente.
Prodotto audace e coraggioso, al momento non ripagato dagli ascolti e va detto. Sconta forse una recitazione troppo artificiosa e poco realistica, meglio, poco credibile. Forse la capacità di fare prodotti nuovi passa anche con la capacità di saper trovare i volti giusti (ci siamo riusciti con Romanzo Criminale), non a caso in America molti attori di Hollywood stanno sempre più passando dal grande schermo alle serie. Una buona strada intrapresa ma bisogna fare più in fretta perché la corsa è veloce e restare troppo indietro significherebbe perdere l’occasione di avere anche noi qualcosa da dire.
Massimiliano Pistonesi