Il Museo del cinema di Torino rende omaggio al maestro giapponese con la rassegna Un samurai dietro la macchina da presa
"Se non si conoscono tutti gli aspetti e le fasi della produzione cinematografica, non è possibile essere un regista. Un regista cinematografico è come un ufficiale che comanda in prima linea. Ha bisogno di una conoscenza completa delle necessità di ogni arma; se non comanda le divisioni una per una, non può comandare l'esercito intero". Così scriveva Akira Kurosawa nel libro L'ultimo samurai. Quasi un'autobiografia. Un pensiero messo in pratica, riconoscibile nel perfezionismo nel costruire le inquadrature, dai primi film degli anni Quaranta agli ultimi degli anni Ottanta e Novanta. A uno dei più grandi maestri della settima arte, il Museo Nazionale del Cinema di Torino dedica un omaggio, dal titolo "Un samurai dietro la macchina da presa", e quindi la possibilità, rara, di vedere sul grande schermo quindici dei suoi film, poco meno della metà di quelli da lui realizzati in cinquant'anni di carriera, fra il 1943 e il 1993.
Di Kurosawa, nel cui cinema si incontrano tanto influenze culturali del suo paese (il teatro no, il kabuki, l'epica dei samurai) quanto riferimenti alla cultura occidentale (il cinema hollywoodiano, Shakespeare, Dostoevskij), da venerdì 3 a venerdì 31 marzo 2017 nella sala tre del cinema Massimo scorreranno sia immagini di opere entrate nella storia del cinema mondiale (Rashomon, del 1950, con cui vinse il Leone d'oro a Venezia; I sette samurai, del 1954; Kagemusha - L'ombra del guerriero, del 1980) sia di film meno noti ma altrettanto significativi nel comporre la poetica di un autore moderno e innovativo. Nella rassegna c'è uno dei suoi primi lavori, Spirito più elevato, del 1944. Nonostante il film fosse stato commissionato dalla Marina nipponica per mostrare la dedizione di giovani operaie alla nazione in tempo di guerra e prevedesse anche duelli aerei, Kurosawa lo trasformò imponendo un proprio soggetto e uno sguardo più realista. "Decisi di realizzarlo in uno stile semidocumentaristico", scrisse nelle pagine de L'ultimo samurai riservate a Spirito più elevato. Con le attrici fu intransigente e la lavorazione non fu semplice. Ma "resta uno dei film che mi sono più cari", afferma concludendo quel capitolo del libro.
Kurosawa si avventura in periodi storici del Giappone e nei generi (la tragedia, il gangster, il noir, il poliziesco, il dramma sociale, il western con samurai) imprimendo la sua firma di autore colto e popolare, attento ai cambiamenti e alle ingiustizie sociali e al piacere del racconto, alla potenza muta delle immagini ("Mi era sempre parso che fin dall'avvento del sonoro avessimo dimenticato quel che c'era di meraviglioso nei vecchi film muti", annota Kurosawa nella sua "quasi autobiografia").