Player one intervista a Ernest Cline

Ripubblichiamo l’intervista che avevamo fatto insieme a Ernest Cline in occasione dell’uscita del suo romanzo Player One nel 2011

Ready Player One di Ernest Cline (Isbn Edizioni) è un romanzo che si ama subito, una volta entrati dentro bisogna arrivare alla fine. Insomma, una proposta interessante per una storia a dir poco spettacolare che mescola un sapore vintage per la cultura pop degli anni '80, quando tutto sembrava destinato a non finire mai, a un futuro non certo roseo e neanche tanto lontano, siamo nel 2044, dove le cose non vanno bene ma anche qui, adesso, nel presente, non è che ce la stiamo spassando.

 

L'autore Ernest Cline è alla sua prima prova letteraria che all'uscita di Player One negli Usa è diventato già un autore di culto, e se lo merita. A tanti per il momento il suo nome non dirà molto ma è lui l'autore della sceneggiatura del film di Kyle Newman Fanboys del 2009. Anche per questa sceneggiatura Cline ha avuto un percorso tutto suo, anche travagliato, perchè gli studios americani non è gente che apprezza in maniera piena la creatività.

Dopo aver scritto il copione di Fanboys lo ha postato su internet e lentamente la storia ha cominciato a destare la curiosità di molti, inclusi gli addetti ai lavori, ma tra scrittura e realizzazione sono passati ben dieci anni.

Ora c'è questo Player One dove Wade Watts, come gran parte dell'umanità, passa la maggior parte del suo tempo in Oasis, un video gioco collettivo dove è possibile immergersi in universo virtuale. La gente passa così il tempo per sfuggire alla paura di un mondo sull'orlo del collasso. Adesso James Halliday, il creatore di Oasis nonché eccentrico miliardario, è morto e ha destinato la sua intera fortuna al primo che scoprirà le tre chiavi nascoste dentro il gioco.

L'unico indizio a disposizioni per i partecipanti, praticamente tutti, è la passione che Halliday aveva per la cultura pop degli anni '80, quella in cui era cresciuto, quella in cui i videogiochi diventarono un fenomeno di costume. Tutto il mondo assiste mentre Wade trova la prima chiave. Ora per lui si materializzano nuovi nemici, veri e virtuali nonché la possibilità di diventare la vera speranza per la sopravvivenza del mondo.

Player One diventerà presto un film ad alto budget prodotto dalla Warner bros. Di questo e altro ne abbiamo parlato con l'autore, Ernest Cline.

 

Prima di tutto, Ernest, grazie di aver accettato la nostra intervista.

«E' un piacere, grazie a voi.»

 

Il film che hai scritto, Fanboys, e questo Player one richiamano costantemente la vita di una adolescente negli anni Ottanta, c'è un po' di nostalgia in questo?

«Sì, ce n'è in entrambi i lavori, e il fatto è molto semplice, io ero un adolescente negli anni Ottanta. Ho vissuto quell'intera fantastica ondata di cose nuove che sono successe il quel periodo, le prime console per videogiochi, io avevo un Atari, la musica, i film di Guerre Stellari, Ritorno al futuro, Indiana Jones. Sono cose che mi porto dietro da allora, e le usate sia per scrivere Fanboys che Ready Player One».

 

Pensi che fosse un periodo migliore?

«No, non direi. Abbiamo forse perso qualcosa, ma il fatto è che negli anni Ottanta le cose erano più semplici e immediate, tutti, per lo meno nel mondo occidentale, guardavamo gli stessi film, gli stesi programmi, la musica era uguale per tutti. Era tutto diverso ma non credo che fosse migliore di quello che c'è oggi.»

 

Qual è l'idea che c'è dietro a Player one?

«Willy Wonka, quello della Fabbrica di Cioccolato. Ho pensato che invece che fare dolci Willy potesse progettare videogiochi. Era un'idea che mi girava per la testa da parecchio tempo. Ricordo uno dei miei giochi preferiti negli anni Ottanta, si chiamava Adventure, all'Atari non davano spazio a chi progettava i video giochi così il programmatore infilò dentro il gioco il suo nome che compariva solo se riuscivi ad arrivare alla fine, ed è una cosa vera, successa sul serio. Anche questa era una cosa che poteva fare Willy Wonka. Poi in giro non c'era una storia del genere, così mi sono deciso a scriverla io.»

 

Il personaggio di James Halliday sembra ricalcato sui vari Bill Gates, Mark Zuckerberg, Ralph Ellison e altri tycoon dell'informatica, ma molto spesso di questi personaggi non se ne parla molto bene.

«Sì, è vero. James Halliday ha molto in comune con queste figure, ma lui è un personaggio positivo e negativo allo stesso tempo. Con i suoi soldi potrebbe contribuire a rendere il mondo un posto migliore, ma quando muore lascia tutto a chi vincerà una gara, di cui le regole le ha stabilite lui. E' un'idealista e passionale ma è anche infantile e per certi aspetti anche irritante.»

 

Nel romanzo tu racconti chiaramente attraverso il personaggio di Wade come la gente si crei degli alias fasulli online, magari inventandosi una vita fittizia cui tragicamente iniziano a crederci.

 

«A me capita di continuo, tutti i giorni. Ormai è una cosa consolidata che nella vita di tutti i giorni ci si trascina con le solite cose, il lavoro, la scuola, casa, gli amici, poi sui social network diventiamo qualcos'altro, si diventa qualcosa di alternativo alla nostra personalità si cerca di compensare la quotidianità, più spesso di riempirla con qualcosa che si pensa possa darla maggior senso. Ma la vita vera è sempre quella che sta di fuori dai mondi virtuali.»

 

Tu pensi che i videogame siano diventati il vero fenomeno di intrattenimento di questi ultimi anni?

«Assolutamente. Ormai hanno superato anche il cinema. Sono sempre più realistici e coinvolgenti, un grado di immedesimazione che fa paura, lo dice un gran giocatore. Non a caso ci sono posti dove la gente si reca per disintossicarsi dal gioco, ci sono delle vere cliniche perchè i videogame danno assuefazione. Io non ho mai sentito di qualcuno che è finito in clinica perchè guardava troppi film. Questo è il rapporto nel bene e nel male.»

 

Qual è il tuo videogioco preferito al momento?

«Portal. E' un gioco di puzzle. Incredibile. Lo ripeto, usateli con cautela i videogiochi perchè hanno effetti collaterali indesiderati.»

 

Mi consiglieresti di giocarci?

«Ti farà andare fuori di testa.»

 

Il tuo è un romanzo di fantascienza, un genere che spesso viene criticato.

«Io non ho scritto Player one per fare contento qualcuno o per andare incontro ai gusti. Ho scritto la storia che mi piaceva, e basta. Penso che la fantascienza sia un grande strumento per parlare del nostro presente facendo finta che accada domani.»

 

Per te che differenza c'è nello scrivere una sceneggiatura e un romanzo.

«Un romanzo è più difficile da scrivere, deve stare lì a descrivere tutto, a non farti sfuggire di mano la storia, i personaggi, le loro vite. Una sceneggiatura è più leggera in tutti i sensi pensi soprattutto allo sviluppo della trama e ai dialoghi a tutto il resto ci sono i vari reparti che completano il tuo lavoro e un regista che gli darà una visione.»

 

Come è stata la tua esperienza con gli studios hollywodiani?

«La prima volta, quella di Fanboys, è stato veramente frustrante, combattevo ogni giorno perchè c'era sempre qualcuno che voleva cambiare qualcosa, una volta volevano cambiare addirittura la storia. E' stata un'esperienza per niente piacevole. Invece con Player one le cose stanno andando alla grande. Quest'estate ho finito la sceneggiatura e la Warner bros. annuncerà dopo natale il nome del regista.»

 

Stanno pensando a un grande film?

«Sì, vogliono fare le cose in grande, sono entusiasti di Player one, sarà un film con effetti speciali sensazionali, alla Warner vogliono fare una cosa tipo Avatar».

 

Grazie ancora Ernest per il tempo che ci hai dedicato.

«Grazie a voi».

 

 Massimiliano Pistonesi