RIFF: Rocco tiene tu nombre

Una favola triste scritta e diretta dall’attore Angelo Orlando

“Questo film è una favola. E come tutte le favole può arrivare al cuore o essere rigettata”. Così Angelo Orlando sintetizza il suo quarto film Rocco tiene tu nombre.

Noto al grande pubblico soprattutto come attore (ha lavorato, fra gli altri, con Monicelli, Fellini, Nanni Loy e Massimo Troisi, con il quale sono esilaranti i duetti in Pensavo fosse amore… invece era un calesse), Orlando è un autore dalla narrazione lieve e sospesa e dall’indipendenza produttiva, come dimostrano i suoi precedenti film da regista (in particolare l’ultimo, Sfiorarsi) e le sue collaborazioni da sceneggiatore con autori come Tonino Zangardi.

In questo film spinge un passo in avanti entrambi i percorsi: Rocco tiene su nombre (girato interamente a Barcellona) è stato infatti finanziato grazie al crowfunding e affronta il difficile tema del (non) riconoscersi, poggiandolo sul sottile crinale che divide sogno e realtà.

Al centro della vicenda Bobo (Michele Venitucci), un italiano che vive e lavora a Barcellona presso l’Istituto Italiano di Cultura, in crisi per la fine della sua relazione sentimentale con Stella, che lo ha lasciato per una donna. Su questo dolore, per Bobo intollerabile, si instaura un evento che gli capovolge la vita: un altro uomo (interpretato da Fabrizio Ferri), si sostituisce a lui, impossessandosi della casa, del lavoro e delle sue relazioni.  Bobo riconosce quest’uomo: è Rocco, il suo amico immaginario di quando era bambino. E che adesso è ricomparso nella sua vita prendendone il sopravvento. Rocco si trova spaesato, sfrattato dalla sua vita, in una terra di nessuno. Riuscirà a fare i conti con il suo amico, cioè con se stesso, e ritrovarsi?

Orlando percorre una strada interessante, con un’idea originale che conferma la sua sensibilità. Più di una scena arriva al cuore, come nelle sue intenzioni. Gli attori lo seguono a intermittenza (bravo e credibile lo spagnolo David Gonzalez Perez nella parte dell’amico “vero”). E non giova questa strana commistione italiano – spagnolo che non trova una vera giustificazione se non, forse, quella produttiva. Ma soprattutto gli nuoce una parte centrale statica e ripetitiva, che fa pensare che forse un cortometraggio sarebbe stato più adatto. Il tutto finisce così col far perdere quell’intensità ed empatia che sarebbero necessarie. E il risultato finale resta sospeso come la sua stessa storia.

 

Luigi Sardiello