Roma Città Morta. Diario di un’Apocalisse - Intervista

Luca Marengo, scrittore, e Giacomo Keison Bevilacqua, autore di fumetti, A Panda Piace uno dei suoi titoli, hanno creato questa storia su un'apocalisse zombie che colpisce l'Italia, due eroi che cominciano un viaggio che racconta la fine del mondo ma anche molto di più

Roma Città Morta. Diario di un’Apocalisse, edito da Multiplayer.it edizioni, di Luca Marengo e Giacomo Keison Bevilacqua è un romanzo sulla fine del mondo. O meglio: non è proprio un romanzo, è qualcosa di diverso, un racconto espanso fatto di parole e disegni, immagini, fotogrammi che colgono il “momento qualunque” dentro un’apocalisse zombie; e racconta della fine del mondo ma lo fa nella finzione della sua storia che però è una metafora neanche tanto velata per scoperchiare quello che succede alla nostra realtà individuale e sociale nella vita di tutti i giorni. Marengo e Bevilacqua lo definiscono, giustamente, un ibrido.

Un modo per lanciare uno sguardo per niente minimalista sulla nostra situazione attuale, fra slanci solidaristici e recrudescenze di un passato che proprio non ci pensa a morire. Allora Roma Città Morta, parla proprio di Roma chiusa dentro le sue mura antiche che la proteggono dal possibile contagio e dall’attacco degli zombie. Marengo e Bevilacqua hanno fatto pure un’altra scelta, quella di infilarsi loro stessi dentro la storia e a registrare cosa succederebbe se in quel mondo ci vivessero davvero. Due eroi, meglio, due antieroi che però vogliono capire e si fermano a registrare le impressioni e i racconti dei sopravvissuti, di quelli che tentano di rimanere a galla e di chi è convinto che la speranza si trovi sempre alla fine della corda. Leggendolo, a me è venuto il mente il sottotiolo Mattatoi n.5 di Kurt Vonnegut, ossia La crociata dei bambini, perché dentro a questa storia sono proprio i bambini che raccontano quello che è veramente successo.

Un mondo in mano ai predoni che cercano di instaurare la legge del più forte dal momento che tutto si è dissolto: ogni istituzione, ogni ente, addirittura il Papa rappresenta solo se stesso. E a farla da padrone, o che ci provano a esserlo, sono proprio quei rimasugli di potere e delinquenza che arriva diretta dagli anni Settanta rendendo Roma Città Morta non un romanzo premonitore ma il racconto della cronaca e dell’attualità che ci alluviona costantemente in questi mesi proprio di Roma e del malaffare che la vorrebbe dominare.

Però Marengo e Bevilacqua non fanno cronaca, raccontano una storia tra possibilità e fantascienza, ed è per questo che Roma Città Morta contiene un pezzo del nostro passato ed è inesorabilmente il punto di partenza del futuro che ci potrebbe attendere.

Ne abbiamo parlato con i due autori in un’intervista separata dove l’uno non sapeva come avrebberisposto l’altro.

Intanto grazie ragazzi per la vostra disponibilità. Per voi Roma è un bel posto per la fine del mondo?

Bevilacqua. Roma è un ottimo posto per la fine del mondo. È la città dove sono nato e cresciuto perciò è qui che vorrei essere per assistere alla fine del mondo. Io ho abitato per un anno e mezzo a New York e se mi fossi trovato lì per un evento del genere mi sarei veramente incazzato. Qui è dove ho i miei affetti, la mia famiglia, i miei amici. E poi ho vicino casa un supermercato sempre aperto perciò se l’impatto non fosse diretto saprei pure dove andare per fare le provviste per gestire la sopravvivenza.

Marengo. Da una parte no, perché è la mia città e me la sento addosso, da un’altra parte invece sì, è il posto perfetto per un’apocalisse. Magari un evento catastrofico come quello che raccontiamo potrebbe svegliarla, potrebbe liberare le energie che contiene e far sorgere qualcosa di nuovo. Magari qualcosa migliore di quello che c’era prima.

Come e a chi è venuta l’idea per un lavoro come questo a quattro mani?

Bevilacqua. L’idea è di Luca. Lui organizza feste, serate dove si balla, si mangia e si beve. Mi ha invitato e come spesso succede le cose avvengono un po’ per caso, inoltre io ero ubriaco e quando mi ha chiesto di fare una cosa assieme io ho accettato perché ero dentro questa scenografia. Poi il giorno dopo mi ha chiamato, io ricordavo vagamente di quello che mi aveva chiesto la sera prima e gli ho detto ok, facciamolo.

Marengo. Non so cosa abbia detto Giacomo ma la confermo! Eravamo insieme a una festa, complice qualche bicchiere, abbiamo cominciato a fantasticare un po’ su come ce la saremmo cavata in una situazione, e poi da lì a come se la sarebbe cavata Roma in quella situazione e abbiamo cominciato a lavorare.

La storia sembra incredibilmente il racconto di questi mesi, nella vostra storia c’è il malaffare, l’abuso del potere, le gabbie d’acciaio che stringono chi tenta di cambiare le cose. Mi riferisco soprattutto ai fatti di Mafia Capitale.

Bevilacqua. Quello che abbiamo scritto è quello che vedevamo intorno a noi, ma non eravamo i soli a vederlo. Lo schifo era dappertutto e tutti ne erano consci, sapevano come le cose andavano e come funzionassero, e sanno come funzionano ora. Un certo lassismo sociale è dovuto pure alle abitudini che si sono sviluppate nel tempo. Una cittadinanza non costruisce la sua identità su un social media. L’identità sociale ciascuno se la crea come gli pare, come la vuole. Ma l’indignazione prima che essere rivolta verso gli altri dovrebbe essere rivolata verso se stessi. Troppo facile scendere sottocasa, trovare il cassonetto stracolmo e buttare lì la spazzatura per poi fare una foto da commentare si facebook. Invece fare cento metri per cercarne uno vuoto di cassonetto è un’impresa. Io questo non lo capisco perché a fare una cosa del genere siamo tutti capaci. Prima di contestare un sindaco bisognerebbe pure avere il coraggio di guardare quello che veramente sta cercando di fare, al di là del suo essere flemmatico, incalzarlo sulle cose che deve ancora fare, tipo come promuovere la cultura. Inoltre io sono convinto che l’aggregazione sociale deve nascere dal basso, non la puoi e non la devi aspettare dalla politica. Io sono a favore delle occupazioni, per esempio, perché credo che chi vive un disagio, vive nell’emarginazione ha il diritto ad avere un tetto, e se se lo prende poco di male. Hai voglia a selfie, gli zombi popolano i social media, non le strade.

Marengo. Noi abbiamo lavorato per parecchio tempo al nostro libro e non c’era questa attenzione a quello che poi sarebbe stata chiamato Mafia Capitale. Il fatto è che queste cose le sapevamo già perché bastava stare un po’ per strada per rendersi conto di come stavano le cose. Vorrei capire perché quando è esploso il caso tutti hanno dovuto far finta di essere sorpresi. Il problema è che nella società ci sono due comportamenti, due reazioni: da una parte chi vive rassegnato, convinto che non si possa far niente per cambiare le cose e si lascia scivolare tutto addosso; invece c’è chi ha una volontà per ribellarsi. L’ambiente romano, quello che viviamo noi, è pieno di gente che usa l’arte, la musica, per esprimere questa ribellione trasformando la loro attività non in una cosa di elitario ma popolare, immediatamente fruibile, sempre in contatto con la strada. Questa testimonianza lavora sulle coscienze più di tutto lo stupore che vorrebbero provocare i giornali.

Roma Città Morta è un racconto di genere, fantascienza insieme all’horror, perché secondo voi il genere in Italia, e parlo non solo della letteratura ma anche del cinema della fiction è sempre poco considerato?

Bevilacqua. Io credo che tra il 1970 e il 1985 l’Italia abbia prodotto il miglior cinema di genere del mondo che tutt’oggi è ancora per molti registi di diverse nazionalità una fonte d’ispirazione. Quegli autori, Lucio Fulci, Dario Argento per fare dei nomi, partivano dalla nostra realtà per raccontare storie che sapessero girare per il mondo, il fatto è che alla lunga ha sempre vinto quel sentimento di esterofila valutativa del cinema, per cui gli americani sanno fare meglio il genere e quindi a noi non conviene metterci in competizione con loro. È proprio l’approccio che è sbagliato perché poi il tutto si riduce a nicchie di persone che coltivano il culto di quel regista o di quel film o di quel filone. In questo senso nel mondo del comics le cose stanno diversamente: lì non c’è solo sperimentazione ma si stanno creando tradizioni consolidate, perciò si può raccontare Roma, piuttosto che Napoli invece che Milano attraverso la fantascienza, l’horror, il fantastico, senza paura di banalizzare ma proprio perché si è in contatto con un pubblico di lettori che si vuole sempre di più ampliare.

Marengo. Penso che Giacomo attraverso i comics e io con i romanzi e con le sceneggiature guardiamo al cinema italiano degli anni 60/80. Un cinema capofila per quanto riguarda i generi. Un cinema che non rinnegava se s stesso ma che attraverso il genere travestiva dei messaggi forti, importanti. Poi si è deciso che qui da noi tutto dovesse assumere una deriva indefinita del finto popolare. Ci sono blocchi di potere che ostruiscono la creatività. Però molte cose sono in movimento. Prendiamo La ferocia di Nicola Lagioia, un libro bellissimo, ecco quello è un esempio di come la nostra realtà possa essere coniugata con il racconto di genere.

In ultimo: quali sono i progetti che avete per il futuro?

Bevilacqua. Io ho appena finito una storia di Dylan Dog, testi e disegni, che verrà pubblicata l’anno prossimo in un numero speciale dove ci saranno altre tre storie, di Leo Ortolani, Roberto Recchioni e Tito Faraci insieme a Silvia Ziche. Tutte le storie sono incentrate su Groucho. Poi, sempre l’anno prossimo, pubblicherò una graphic novel per la Bao publishing e infine una cosa per la Sergio Bonelli ma che non posso dire ora, anzi, se seguite le puntate di Fumettology su Rai 4 saprete di cosa si stratta.

Marengo. Nel cassetto ho già due libri, un romanzo e un saggio che hanno trovato la loro strada per la pubblicazione ma preferisco non dire niente. Poi ci sono dei progetti per la televisione di cui uno potrebbe essere legato a Roma Città Morta ma finché non c’è niente di definitivo facciamo come se niente fosse.

 

Massimiliano Pistonesi