La montagna? Un luogo da reinventare con il cinema

Al Trento Film Festival lavori di finzione e documentari per raccontare il rapporto tra l'uomo e la natura

Noto come appuntamento cinematografico dedicato alla montagna, il Trento Film Festival (27 aprile-7 maggio 2017) è molto di più. Giunto alla sessantacinquesima edizione, offre un'esplorazione del soggetto che lo identifica anno dopo anno ampia, stratificata, declinata in una moltitudine di punti di vista. Esemplare, in tal senso, una delle sezioni dell'edizione 2017, riservata all'Islanda. Quindici opere - di finzione e di documentari, di corto e lungometraggi - per conoscere tanto la sua natura e la relazione dell'uomo con essa quanto la sua storia recente, dalla crisi finanziaria che ha colpito gli abitanti dell'isola e dal modo partecipato di ristabilirsi in breve tempo all'exploit calcistico della nazionale ai campionati europei del 2016 (cui è dedicato Inside a Volcano - The Rise of Icelandic Football di Saevar Gudmundsson). Una cinematografia, quella islandese, preziosa e da alcuni anni finalmente presente anche nelle sale italiane (si pensi, per restare alla stagione 2016-2017, a L'effetto acquatico di Solveig Anspach, Passeri di Runar Runarsson e Virgin Mountain di Dagur Kari). Fra i titoli scelti dal festival di Trento, da segnalare in anteprima italiana Horizon di Fridrik Thor Fridriksson (ritratto del pittore paesaggista Georg Gudni Hauksson, diretto con Bergur Bernburg), regista e produttore che ha contribuito in maniera decisiva alla crescita e affermazione del cinema islandese, candidato all'Oscar nel 1991 per Children of Nature, presente nell'omaggio alla produzione filmica della sua terra anche con lo sperimentale The Ring Road del 1985, dove il regista percorre a bordo di un'auto tutta la principale strada che attraversa l'intero perimetro dell'isola al fine di compiere un esperimento che coniuga fisica, matematica, geografia, immagine, suono, velocità.

La varietà di approcci alla montagna, a come sia possibile e necessario re-inventarla con il cinema, è inoltre ben rappresentata dal breve lavoro W (2016, 29 minuti) del canadese Steven Schwabl e da Woman and the Glacier (2016, 57 minuti) del lituano Audrius Stonys. W descrive le visioni di un uomo, trasferitosi dalla montagna in città, osservando la gigantesca W collocata in cima a una torre, che per lui diventa una meta da scalare pensando alla salita di Reinhold Messner sull'Everest nel 1980 (rievocata con immagini rare). Visionario, nel trasformare la montagna in luogo alieno e di fantascienza, è anche il film di Stonys, figura di rilievo dell'innovativo cinema documentario lituano. Quasi senza dialoghi, Woman and the Glacier racconta un paesaggio e una donna: il ghiacciaio Tuyuk-Su, in Kazakistan, e la glaciologa lituana Ausrele Revutaite, che nella stazione per rilevare i cambiamenti climatici creata in quel posto a 3500 metri ha vissuto in solitudine dal 1982 al 2014. Stonys osserva, ascolta, rende vivi i silenzi, documenta con la semplicità che appartiene ai grandi maestri.