Premiato nei festival, il film del 2008 di Michael Raeburn non è mai uscito in Italia. Ma per il romanzo da cui è tratto ci sono voluti 23 anni...
Si pensa a certo horror fuoriclasse, Non aprite quella porta (l'originale di Tobe Hooper) e La notte dei morti viventi di George A. Romero. Si pensa, se lo osserviamo nel suo lato grottesco fino all'eccesso, a Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola. Il film che evoca tali illustri analogie è Triomf e prende il nome dal quartiere di Johannesburg dove il regime bianco sudafricano relegò i sottoproletari bianchi più poveri. Un tempo si chiamava Sophiatown ed era abitato da neri, poi cacciati negli anni Sessanta. E Sophiatown sarebbe tornato a chiamarsi dal 2006, dopo la fine dell'apartheid. Nel film siamo invece nell'aprile del 1994, e mancano sei giorni alle prime elezioni democratiche nella storia del Sudafrica, quelle che sanciranno l'ascesa alla presidenza di Nelson Mandela. Il regista di Triomf è Michael Raeburn, uno dei cineasti più significativi, per il suo approccio poetico-politico al cinema, della storia della cinematografia africana a partire dagli anni Sessanta, in particolare dello Zimbabwe. Raeburn, per citare Clint Eastwood, è un cacciatore bianco dal cuore nero. Quello che a tutt'oggi è il suo ultimo film, Triomf, risale al 2008 e fu accolto in numerosi festival: a Durban, dove vinse il premio per il miglior film africano; al Fespaco, il festival del cinema panafricano di Ouagadougou; a Milano, dove il festival del cinema africano, d'Asia e America Latina lo presentò in anteprima italiana. Come troppo spesso accade, va sottolineato anche in questa occasione, il film non trovò distribuzione, ma oggi torna alla memoria perché (pur con un ritardo enorme, ventitre anni, dalla sua uscita nel 1994) è stato tradotto e appena pubblicato il romanzo della scrittrice sudafricana Marlene van Niekerk dal quale è tratto. In originale il titolo è Triomf, in italiano La famiglia Benade. Con certi ritmi, si può ancora confidare che esca anche il film...
Film indipendente, radicalmente politico, esteticamente arrabbiato e confezionato come un horror, una tragedia greca montante che devasta i corpi dei personaggi e degli spazi, ristretti, claustrofobici, che essi abitano. Triomf racconta una famiglia bianca violenta, incestuosa, complice, mentalmente e fisicamente devastata, proprio come la casa, quinto personaggio, anch'essa in condizioni disperate, fatta a pezzi dai quattro personaggi e da loro ri-messa insieme fino alla prossima devastazione imminente. Lo zio Treppie, i coniugi Pop e Mol, il loro figlio epilettico Lambert (che proprio la vigilia delle elezioni compirà 21 anni) e la casa sono un corpo unico che Raeburn filma nella sua costante metamorfosi verso il totale disfacimento - mentre attorno, eventi paralleli che si compenetrano con quella storia familiare, i segni del nuovo Sudafrica, di fronte a un passaggio epocale tutt'altro che indolore, fra declino e aspirazioni democratiche, si affermano, tra manifestazioni di piazza pacifiste e nuovi inquilini neri, già innescando ulteriori, infinite tensioni... Triomf è un film in odorama ma senza bisogno di effetti dal vivo. E si avvale di un cast di prima grandezza, interpreti di cinema e teatro sudafricano che con le loro performances moltiplicano il senso e il clima di disagio, orrore, degradazione filmato da Raeburn, spesso ricorrendo al grottesco per immergere ancora di più lo sguardo in quell'ambiente e far sentire tutta la fisicità e i suoi odori più malsani.