Visto il bellissimo documentario di Janis Joplin, come essere a un suo concerto, poi la storia nera di Pablo Trapero che racconta una storia realmente accaduta
Per cominciare raccontiamo un aneddoto di quello che è accaduto questa mattina durante la proiezione del film in concorso Rabin The Last Days, del regista israeliano Amos Gitai. Tra l’altro il film è in anteprima mondiale quindi figurarsi l’attesa. Bene, il film inizia e non ci sono i sottotitoli in inglese, sono cominciate bordate di fischi durate una buona quindicina di minuti e non, ovviamente, all’indirizzo del film ma all’organizzazioni poi si è scoperto, in tutti i sensi, che il pannello elettronico alla base dello schermo su cui scorrevano i tanto richiesti sottotitoli era stato coperto da un panno.
Ieri si è visto fuori concorso il documentario Janis di Amy Berger. Il film ricostruisce la storia e la parabola professionale della stella del rock Janis Joplin, la prima vera rockstar femminile capace di contendere, anche nei modi sul palco e negli stili di vita, ai suoi colleghi uomini un ruolo di rottura nei confronti della cultura dominante.
Amy Berger, come lei stessa ha dichiarato, ha impegnato sei anni per realizzare il suo film, infatti non sono state poche le difficoltà ad accedere ai momenti di vita della Joplin, inclusa la sua infanzia quasi misteriosa per la mancanza di materiale. Comunque il documentario è un viaggio dentro la voce e la musica di Janis Joplin e non mancano pezzi dei suoi concerti magnetici e potenti, incluso quello leggendario tenuto a Monterey, il tutto terminerà bruscamente il 4 ottobre del 1970 a causa di un overdose fatale. Un errore si disse all’epoca dei suoi spacciatori che le diedero una dose sbagliata.
Quello che emerge dal racconto della Berger è la fragilità umana e affettiva di Janis Joplin, che al di là del facile romanticismo voleva solo essere amata.
Poi è stata la volta anche dell’argentino Pablo Trapero, forse uno dei massimi esponenti della nuova hola argentina e di tutto il cinema latinoamericano. Trapero si presenta con El Caln, una storia agghiacciante e vera: quella della famiglia Puccio, una famiglia benestante che alla fine della dittatura di Videla nei primi anni Ottanta, diventarono dei sequestratori tenendo prigionieri nella loro bella casa nel quartiere residenziale di San Isidro i loro ostaggi. Un film incredibile, sia per la storia che racconta sia per come la storia è raccontata. Il film è interpretato da Guillermo Francella (Il segreto dei suoi occhi) che interpreta in maniera perfetta il capofamiglia, il capo clan, Arquimedes Puccio che insieme ai suoi congiunti, quattro figl e la moglie e le domeniche tutti a messa, divenne uno dei criminali più efferati della storia argentina. Ma come Trapero spiega bene, i Puccio sono il volto nascosto della storia recente argentina, di quella borghesia vigliacca e opportunista prodotta dalla dittatura, un film, prodotto da Pedro Almodovar, che potrebbe ricordare Martin Scorsese ma Trapero ha un suo tocco originale e inconfondibile che da El bonaerense in poi lo ha reso unico nel panorama cinematografico mondiale. Tra l’altro il film è già campione d’incassi in patria.
A cura della redazione