5 film da vedere prima di andare in Australia

Prepararsi al viaggio in Australia con un essenziale bagaglio cinematografico di 5 film

Pic nic at Hanging Rock (Peter Weir, 1975). Capolista della classifica non può che essere questa pietra miliare di Weir, un thriller/horror in cui la suspense pervade ogni fotogramma pur senza azione o spargimenti di sangue. E qui lo spettatore è avvisato: se cerca una pellicola “ritmata” giri al largo da Hanging Rock e dalle sue atmosfere oniriche al rallentatore. Ci delizieranno comunque con la loro musica, il mistero universale che traspare dalle parole delle giovani protagoniste, quasi in preda a uno stato di trance indotto dal paesaggio australiano con le sue abbacinanti luci. Ed è proprio la natura la vera protagonista del film, che ipnotizza, inghiotte le sue vittime (in questo caso due studentesse e un’insegnante, strappate a forza dalle grinfie di una natura seducente e crudele dal loro ovile scolastico, come a riproporre l’eterno duello fra natura e civiltà). Da apprezzare anche le scene iniziali ambientate nel college femminile ottocentesco per il loro retrogusto liberty.

Mad Max (George Miller, 1979). Si cambia decisamente registro con “Mad Max”, noto ai più come “Interceptor” e apripista del filone post-apocalittico anni ’80 che ispirò anche i creatori di “Ken il guerriero”. Qui lo scenario sono le desolate outback, zone desertiche di un’Australia post-apocalittica in cui spadroneggiano bande di teppisti inseguite da Mad Max (un Mel Gibson in ascesa), poliziotto che a bordo di una V8 Interceptor vendica il sangue innocente della sua famiglia. Una chicca che potrebbe interessare agli amanti del motore è il fatto che la V8 Interceptor, per quanto non abbia mai macinato chilometri al di fuori del set, resti la più nota vettura australiana al mondo. Interessante notare come il film, malgrado il limitato budget con cui venne girato, spiccò il volo nell’olimpo dei cult, al punto da aver generato sequel e remake e da aver indirettamente ispirato la pur sfortunata pellicola di “Tank Girl”, anch’essa incentrata su un’eroina futuristica che si muove in un' Australia post-atomica.

Gallipoli (Peter Weir, 1981). La regia di Peter Weir e il volto di Mel Gibson tornano in questo capolavoro bellico e campione di incassi australiano. E questa volta per sfogliare una pagina nera della storia australiana: la sanguinosa battaglia di Gallipoli dove centinaia di soldati australiani e neozelandesi caddero sotto le mitraglie turche. E su questo fosco affresco storico si staglia l’amicizia di Archy e Frank, che incarnano rispettivamente l’idealismo e la spavalderia di una sprovveduta gioventù contadina trascinata nelle trincee. E da lì sotto le bombe e nei cimiteri. Impeccabile è la maestria di Weir nel dipanare in 90 minuti di film la graduale transizione fra le scanzonature iniziali dei due protagonisti e il drammatico finale, in cui riemerge la vocazione da corridore di Archy tragicamente rovesciata (laddove il giovane all’inizio si copriva di gloria nelle gare di provincia, sul fronte corre da vittima sacrificale crivellata dai colpi nemici).

The Adventures of Priscilla, Queen of Desert (Stephan Elliott, 1994). Oltre che per i costumi, che valsero alla pellicola un Oscar nel ’95, il film fa breccia nel cuore del pubblico per le mirabili musiche (fra cui svetta la toccante “Save the best for last” dei titoli di coda) le coreografie e, ultima ma non meno importante, la miscela fra humour e sensibilità con cui viene trattato il tema del travestitismo, che a 22 anni di distanza dal film non ha perso la sua attualità. Fulcro della storia è il viaggio di tre drag queen a bordo di un camper. Destinazione è l’hotel di proprietà dell’ex moglie di una di loro (il travestito Thick), dalla quale ha avuto un figlio. I protagonisti affrontano fra sorrisi e incomprensioni, si scontrano con l’omofobia (che assume le sembianze di una scritta vandalica sul loro camper) ma approdano al commovente happy ending in cui la madre e il figlio di Thick ne accettano la con un’apertura mentale folgorante per i tempi. Le riprese di questo musical on the road toccarono diversi punti dell’Australia, fra cui Sidney, la desolata Silvertown e lo sbalorditivo paesaggio naturale del Watarrka National Park.

Rabbit-Proof Fence (Phillip Noyce, 2002). I suggestivi deserti australiani tornano al servizio di questo film di denuncia, il cui titolo allude alla recinzione che tutela gli orti dalle incursioni dei conigli, e che le tre piccole aborigene protagoniste seguiranno per tornare a casa come delle novelle Hansel e Gretel. Le bambine intendono riappropriarsi delle loro case, di quegli abbracci familiari dai quali sono state forzatamente strappate dalla bieca politica australiana. Stesso crudele destino che è toccato a molti altri bambini mezzosangue aborigeni dal 1869 al 1969, vittime del più vergognoso sequestro di minori della storia messo in atto dal governo australiano: il fenomeno della Stolen generation (“generazione rubata”), di fatto un rapimento legalizzato dei figli degli aborigeni con la pretesa di “europeizzarli”. Un film imperdibile, che fa riflettere su quanti danni faccia il razzismo dietro la pretesa veste di “missione civilizzatrice” e processa il volto più intollerante della società australiana.