Chi è il doppiatore di Daniel Day‑Lewis in Lincoln

Lincoln, una voce italiana che non rende onore a Daniel Day-Lewis.

Nonostante sia indiscutibilmente l'epoca del “sub-ita”, essere doppiatori professionisti, in Italia, resta ancora qualcosa di serio. La scelta di un doppiatore per un film importante è qualcosa di delicato che, se sbagliata clamorosamente, può tradursi in una miscela esplosiva di malcontento da parte del grande pubblico: probabilmente è il caso di Lincoln, film uscito nelle sale italiane il 24 gennaio 2013. Il doppiatore del celebre presidente degli Stati Uniti è Pierfrancesco Favino, un attore estremamente apprezzato nel nostro paese ma, de facto, non un professionista del doppiaggio nonostante numerose esperienze (anche in parte felici) nel campo. Il doppiaggio di Lincoln assume talvolta dei connotati grotteschi, oggettivamente poco convincenti e, per certi versi, imbarazzanti. Lo stesso trailer italiano, che dovrebbe (per sua natura, salvo sotterranei masochistici propositi) essere uno strumento atto a catturare l'attenzione e la curiosità dello spettatore, riesce a lasciare oggettivamente di stucco: frase pregna di pathos su sfondo nero che recita “resta poco tempo”, cupo rintocco di campana a diluire il tutto in una giusta atmosfera di rigida sospensione... E poi eccolo, ecco che arriva il volto teso del miglior Lincoln da combattimento che esclama:”Il prossimo primo febbraio io intendo firmare il tredicesimo emandamento!”. Tutto perfetto o, almeno, sarebbe tutto perfetto se solo la voce di Pierfrancesco Savino riuscisse a rendersi minimamente compatibile con ciò che effettivamente si osserva: un uomo piuttosto affaticato, non più giovane, da cui ci si aspetterebbe un timbro vocale certamente diverso e, non di meno, interpretato con maggiore credibilità e convinzione. Ammettiamolo, però: in Lincoln il doppiaggio non è tutto sbagliato. Ci sono innumerevoli momenti in cui il personaggio sembra esprimersi in modo azzeccato e significativamente accettabile. Il problema nasce nell'osservare il tutto dalla giusta distanza: se fossero i mille metri si parlerebbe di un atleta dalla preparazione più o meno accettabile che, purtroppo, vede compromettere la gara da un paio di cadute fin troppo rocambolesche. Vedere per credere.