I luoghi delle riprese di “Dall’altra parte del mare”.

Questo piccolo e semi-ignoto capolavoro girato da Jean Sarto, pluripremiato al Santa Marinella e a Saturno Film Festival del 2009, rievoca i fantasmi della Shoah sulle grigie quanto suggestive location triestine.

Piccolo excursus sul film.

Se si dovesse elencare tutta la filmografia della storia a tema “Auschwitz” ci vorrebbero ore. Ed è a questo lunghissimo elenco che si aggiunge “Dall’altra parte del mare”, produzione autoriale del regista Jean Sarto (al secolo Giancarlo Sartoretto) che ha fatto incetta di premi ai festival di Santa Marinella e Saturno nel 2009.

La trama è ambiziosa, quasi intellettualistica: due registi teatrali, incaricati di far rivivere sul palco il dramma dell’Olocausto, durante la lavorazione della pièce entrano in artisticamente in conflitto: l’una (Clara, interpretata da un’intensa Galatea Renzi) vorrebbe far sfilare sotto gli occhi degli spettatori la soggettività degli ebrei deportati l’altro (il regista Abele, con la fisionomia austera di Vitaliano Trevisan) vorrebbe una ricostruzione storica della Shoah monoliticamente oggettiva. Ma aldilà del gioco intellettuale in cui la messinscena riflette su se stessa (il film è praticamente una messinscena-film la cui trama è incentrata su una messinscena-teatro) il periodo Shoah, ovviamente, diventa anche la metafora del riaprire e disinfettare le ferite del proprio passato…

 

Location.

Per rappresentare il vagare della troupe teatrale di Clara e Abele (da leggersi anche come “vagare inquieto della memoria”) le riprese del film furono itineranti. La prima “tappa” è Roma, nello scalcinato teatro di periferia in cui Abele convoca Clara dal suo rifugio a Parigi.

E già la degradata periferia romana è metafora di quella scomoda periferia del passato con cui ognuno di noi, talvolta, è chiamato a confrontarsi (varrà anche nel caso di Clara, alla ricerca del padre). Il resto del film è girato nei suggestivi interni ed esterni di Trieste, città di porto, di partenze e ritorni.

In una scena Clara scruta simbolicamente l’azzurro orizzonte dal porto triestino. In un gioco di “riprese delle riprese”, in cui la macchina da presa di Sarto riprende i nostri attori-registi che a loro volta girano la loro pièce, evocativi nella loro alienazione sono il manicomio di San Giovanni. Noto per essere stato il primo banco di prova della riforma Basaglia, l’ex ospedale psichiatrico simboleggia la follia di un periodo storico e l’alienazione degli ebrei dalle loro vite pre-deportazione. Inoltre, proprio in occasione delle leggi razziali dalla struttura furono rilevati pazienti ebrei.

Ma la scelta di girare il film a Trieste non dev’essere stata casuale soprattutto per la presenza nella città dell’unico campo di sterminio italiano: la risiera di San Sabba, fra le cui mura scrostate viene riesumato quella vergognosa pagina di storia con cui la città di Trieste è oggi chiamata a confrontarsi.