Luoghi e riprese Bella e perduta

Il viaggio di un vitello in un’Italia martoriata e sconosciuta.

 Un vitello di bufalo campano: è lui il protagonista di “Bella e perduta”, una specie di viaggio della speranza in una parte d’Italia lontana dai riflettori, lontana dai lustrini e dalle paillettes di tanto cinema ufficiale, romano centrico o anche milanocentrico. Ma, forse proprio per questo, un’Italia vera, che ancora in pochi conoscono. Un vitello di bufalo quindi, di nome Sarchiapone (a cui presta la voce Elio Germano), ma anche un pastore. E poi Pulcinella, maschera ufficiale della napoletanità, dell’appartenenza alla terra campana. Perché di Campania stiamo parlando. Una terra martoriata e sofferente, ma fiera delle proprie origini e delle proprie radici. Nella mente del regista, regista casertano, classe 1976, il lungometraggio “Bella e perduta”, presentato quest’anno al Festival di Locarno (unico, applauditissimo film italiano in concorso), doveva essere parte di un progetto più ampio: una specie di documentario, un itinerario alla scoperta dell’Italia, sulle tracce del libro “Viaggio in Italia” dello scrittore e giornalista vicentino Guido Piovene. Ma la morte improvvisa del protagonista, anzi, di uno dei protagonisti del progetto, il pastore Tommaso Cestrone, ha bloccato tutto. Lasciandoci in dote “solo” questo piccolo miracolo di cinema indipendente e fantasioso. Che comunque costituisce un reportage non indifferente su una delle zone più problematiche d’Italia: la Campania, la terra dei fuochi. Una “terra di nessuno”, tra Napoli e Caserta, che racchiude in sé bellezza e desolazione, un grande passato e un presente di devastazione. Rovina e meraviglia. Una terra su cui la camorra ha messo pesantemente le mani riversandoci sopra tonnellate di rifiuti di ogni genere, trasformandola, per certi versi in una sorta di discarica abusiva. La rovina, ma anche la grandezza, la grandezza della sua storia sotto la dominazione dei Borboni, che hanno fatto grande questa terra, anche dal punto di vista architettonico. Erigendovi edifici come la grande, splendida Reggia di Caserta. O come la Reggia di Carditello, luogo dove si svolgono una parte delle riprese, e di cui il pastore Tommaso Cestrone è stato, negli ultimi tempi, l’unico custode. Tanto da essere soprannominato “l’angelo di Carditello”. La Reggia di Carditello, luogo simbolo del film fu costruita nel XVIII secolo in stile neoclassico da Luigi Vanvitelli e dal suo allievo Francesco Collecini con finalità ben precise. Con la sua tenuta, che si estendeva su oltre 2000 ettari, doveva costituire, per volere di Ferdinando IV di Borbone, un modello di azienda agricola, attrezzata secondo le più moderne concezioni illuministiche, destinata alla coltivazione del grano e all’allevamento di cavalli e bovini di razza pregiata. È curioso il fatto che a prendersi cura, fino all’ultimo dei suoi giorni, di tutta questa bellezza sia stato proprio un umile pastore dei nostri giorni. Già, la bellezza, perché di questo si tratta. Lo scontro mortale tra la bellezza e tutti i suoi nemici: il degrado, l’incuria, il malaffare, la speculazione. Soprattutto in una regione, come la Campania, dove la battaglia su questo versante è di vitale importanza, contro il clan dei Casalesi, che imperversa sulla Terra dei fuochi, le sue malversazioni, e gli scempi ecologici di cui è responsabile. E anche, troppo spesso, l’incuria dello Stato e delle autorità preposte, che per anni hanno lasciato al degrado questa reggia meravigliosa. L’Italia, se si vuole salvare, deve ripartire dalla bellezza, dalle sue risorse paesaggistiche, artistiche, architettoniche. È un atto dovuto a coloro che, come Tommaso, si battono in silenzio per la salvaguardia di questo patrimonio. L’angelo di Carditello.