Nell'estate del 1969, Elliot Tiber contribuì all'organizzazione del concerto che ha cambiato il mondo: benvenuti a Motel Woodstock
Come si racconta una leggenda senza il rischio di cedere alla banalità? Come è possibile far rivivere un evento storico rivoluzionario e in qualche modo assaporarne l'atmosfera?
Quella che Ang Lee ci presenta è una scommessa vinta; la genesi del concerto che ha cambiato per sempre il mondo della musica e non solo. Woodstock è il festival a cui molti di noi avrebbero voluto assistere, non solo per vedere Jimi Hendrix suonare la sua Fender o ascoltare la voce graffiante di Janis Joplin, ma anche per vivere quel fantastico angolo di mondo dove la rivoluzione profumava di hashish e si danzava a piedi scalzi nell'erba, al ritmo di “pace&amore”.
Ed è proprio di quest'immaginario che Ang Lee si serve per raccontare la storia vera di Elliot Tiber che per puro caso contribuì a ricreare l'epopea di Woodstock nel suo piccolo villaggio.
Siamo nell'estate del 1969 quando Elliot torna a Bethel, una cittadina di campagna non lontana da New York, dove i suoi genitori gestiscono uno sgangherato motel chiamato El Monaco, ormai sull'orlo del fallimento.
Sfruttando un permesso ottenuto per realizzare un festival musicale nel paese, Elliot riesce a concentrare l'organizzazione del concerto proprio a due passi dal suo albergo e a risollevarne le sorti, nonostante l'ostilità dei gretti compaesani e gli attriti con i genitori.
Il regista taiwanese dipinge efficacemente un sentimento di nostalgia di quel tempo ormai passato, per qualcuno mai vissuto, dove gli ideali pacifisti e la buona musica rappresentavano l'altro volto dell'America impegnata in Vietnam ma, allo stesso tempo, non disdegna di criticare la macchina del business che si cela dietro un grande evento come questo.
E tutto ciò che simbolicamente resta, oltre le idee e i buoni propositi, non sono null'altro che le cartacce da raccogliere nel fango.