Michele Riondino: "Fare un figlio è un atto egoistico". L'intervista a Vanity Fair

L'attore italiano Michele Riondino, intervistato da Vanity Fair, si lascia andare a delle confessioni sulla sua vita privata

Michele Riondino l’attore italiano che ha praticamente conquistato tutti i telespettatori nostrani nei panni della fiction tv Il giovane Montalbano, ha rilasciato delle importanti dichiarazioni in un’intervista a Vanity Fair in cui ha svelato non solo dettagli circa la sua professione e carriera ma anche alcuni aspetti che riguardano la sua sfera privata, quella lontana dai riflettori e che condivide con la sua compagna Eva e la loro piccola Frida.

«Frida è stata una scelta azzardata da molti punti di vista" - si legge sul nuovo numero in edicola di Vanity Fair e che ha dichiarato l'attore nostrano - "Fare un figlio è un atto egoistico: lo fai perché hai bisogno di un nuovo amore, di rinascere attraverso di lui. All’ inizio non è stato facile: un giorno entra in casa tua questa piccola persona, io non la conosco e lei non mi conosce. Abbiamo bisogni completamente diversi, ma condividiamo la mia casa che io ho comprato. E anche lei potrebbe dire che quella è la sua casa, e guardare me e pensare che sono io l’estraneo nel suo territorio, e avere completamente ragione. Insomma, è strano e buffo». 

Michele Riondino si mostra, forse per la prima volta come un padre che ammette candidamente di come un figlio cambi la prospettiva intera di una vita e aggiunge «Ci siamo perdutamente innamorati, ma da poco, da quando lei è in grado di riconoscere l’amore e di sapere che senza di me non può vivere. Pensare a lei mi commuove, perché mi ha riportato in una dimensione naturale della vita, in cui non c’è bisogno di testa né di parole».

Ma l’attore ha anche raccontato i suoi esordi nel mondo dello spettacolo e la sua passione per il teatro e l'arte della recitazione, nata questa così presto e di cui all'inizio lo stesso Riondino se ne è anche vergognato: "Ero un ragazzino di 15 anni, un pessimo studente, che si è iscritto alla scuola tecnica perché c’era poco italiano, lo odiavo l’italiano e si studiava il minimo indispensabile. Mi sono subito pentito di questa scelta. Ero un ragazzino che ha cominciato a fare teatro nel totale anonimato perché si vergogna come un ladro».