Briganti, la serie Netflix si basa su un'incredibile storia vera

Il crime western, in streaming dal 23 aprile, porta sugli schermi le storie di personaggi come Pietro Monaco e Filomena Pennacchio

Un crime western sul brigantaggio meridionale sviluppatosi al momento dell'unificazione dell'Italia: è Briganti, la serie tv Netflix ambientata a metà Ottocento che sta conquistando il pubblico di abbonati in tutto il mondo. Prodotta da Fabula Pictures di Nicola e Marco De Angelis, scritta dai GRAMS (Antonio Le Fosse, Giacomo Mazzariol, Marco Raspanti, Re Salvador ed Eleonora Trucchi) e diretta da La Fosse, Steve Saint Leger e Nicola Sorcinelli, la serie è stata girata in Puglia tra le location salentine di Lecce, Melpignano e Nardò e quelle baresi di Altamura.

Briganti, storia vera dietro la serie tv Netflix

Tra i protagonisti principali nel cast spiccano Michela De Rossi (Filomena De Marco), Matilda Lutz (Michelina Di Cesare), Ivana Lotito (Ciccilla Oliverio), Marlon Joubert (Giuseppe Schiavone), Orlando Cinque (Pietro Monaco), Ernesto D'Argenio (Cosimo Giordano), Nando Paone (Ventre) e Federico Ielapi (Jurillo). Ma dietro Briganti c'è un lavoro di fiction oppure una storia vera? È quello che si stanno domandando tanti spettatori. Il collettivo GRAMS è partito da eventi storici e personaggi realmente esistiti per sviluppare i vari personaggi, a partire da quello di Filomena che sceglie di fuggire dalla sua vita privilegiata ma insoddisfacente di moglie obbediente per intraprendere l'avventurosa caccia al tesoro che dà il la alla trama.

Come successo per il biopic La legge di Lidia Poët, diventata una delle serie italiane più viste su Netflix nel 2023 nonostante la bocciatura di storici e discendenti dell'avvocata, Briganti rielabora in senso spettacolare e contemporaneo il fenomeno complesso del brigantaggio postunitario, mescolando la realtà alla finzione. Non solo le sue violenze ed efferatezze criminali, ma anche il senso di ribellione contro la povertà diffusa e la ferocia del Nord oppressore e lontano. Il giovane governo sabaudo si trovò infatti a dover affrontare subito un'emergenza molto più grave ed impellente di quanto aveva immaginato. 

I briganti protagonisti sono realmente esistiti. Pietro Monaco era un brigante calabrese, arruolato nell'esercito borbonico e attivo nella cattura e nell'uccisione di Carlo Pisacane, Giovanni Battista Falcone e altri patrioti. Al tradimento del generale borbonico Ghio, Monaco si unì a Garibaldi che per le terre della Sila aveva promesso la cancellazione delle tassa sul macinato, la diminuzione del prezzo del sale e l'amnistia ai disertori. Tornato a casa dopo aver affiancato i Mille, Monaco fu di nuovo chiamato alle armi per completare il servizio militare: decise così di darsi alla macchia nella banda di Palma, ovvero Domenico Straface di Longobucco. Finì ucciso nel 1863 da tre dei suoi gregari più fidati: De Marco, Marrazzo e Celestino.

Giuseppe Schiavone, meglio noto come Sparviero, fu un brigante foggiano che rifiutò la leva obbligatoria per unirsi alla banda di Carmine Crocco di Rionero in Vulture. La loro zona d'azione era la Capitanata, dove Sparviero e i suoi uomini (tra galantuomini, criminali e contadini) erano protagonisti di furti, scorribande, imboscate, sequestri, rapine e omicidi degli esponenti filopiemontesi. Ucciso nel 1863 nel bosco di Leonessa vicino Melfi, Schiavone si muoveva spesso con la brigantessa (poi sua consorte) Filomena Pennacchio di San Sossio Baronia: è alla sua figura che si ispira quella di Filomena De Marco nella serie.

Briganti, Netflix porta sugli schermi personaggi famosi

Nata a San Sossio Baronia, in provincia di Avellino, Filomena Pennacchio è stata una delle donne più celebri che aderirono al brigantaggio. Priva di scrupoli, ammirata per il suo fascino e rispettata per la sua freddezza, Pennacchio fu protagonista di numerose efferatezze prima della morte di Schiavone. Distrutta per la perdita del marito, si arrese alla giustizia e collaborò con le autorità, contribuendo all'arresto di Agostino Sacchitiello e la sua banda, delle brigantesse amiche Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito. Condannata a 20 anni di lavori forzati, morì nel 1915 conquistandosi la benedizione papale di Benedetto XV.

Maria Oliverio, detta Ciccilla, era invece sposata con Pietro Monaco e faceva parte della sua banda. All'indomani della proclamazione del Regno di Vittorio Emanuele II, Oliverio venne arrestata senza alcun motivo assieme alla sorella Teresa e reclusa a Celico: era la strategia del maggiore Pietro Fumel per ricattare il marito. Uscita di prigione, Ciccilla uccise la sorella per calunnia e si unì alla banda di Monaco: arrestata nel 1864, venne processata a Catanzaro e condannata a morte, ma il re le concesse la grazia commutando la pena in ergastolo.

Michelina Di Cesare era originaria di Caspoli, in provincia di Caserta. Figlia di due braccianti, divenne brigantessa grazie all'incontro con l'ex soldato borbonico e disertore Francesco Guerra. I due entrarono a far parte della banda di Rafaniello e Guerra ne fu il capo alla sua morte. Diventata un elemento di spicco del gruppo criminale, Di Cesare era attiva in operazioni di guerriglia. Fu nelle attività di contrasto al brigantaggio messe in piedi dal generale Emilio Pallavicini di Priola che Michelina perse la vita nel 1868: il suo cadavere venne spogliato ed esposto nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.

Figura storica controversa, nato a Cerreto Sannita in provincia di Benevento, Cosimo Giordano fu il protagonista dell'omicidio di quaranta soldati e quattro carabinieri a Pontelandolfo e Casalduni, un atto che ebbe come conseguenza la strage di civili ordinata dal generale Enrico Cialdini ai danni delle popolazioni dei due comuni. Stalliere prima di entrare nell'esercito delle Due Sicilie, Giordano venne accusato del furto di una valigia e lasciò il corpo borbonico dei carabinieri per intraprendere la carriera criminale, affiancando soprattutto i briganti Carlo Sartore e Francesco Guerra. Per un'estorsione da 16.000 lire, finì arrestato a Genova, processato e condannato ai lavori forzati a vita: morì nel 1888 nel carcere di Favignana dov'era detenuto.

Foto: Netflix