Downsizing, la recensione del fiacco film di Alexander Payne cha ha aperto Venezia 74

Downsizing di Alexander Payne, film d'apertura a Venezia 74 e interpretato da Matt Damon, non trova l'amalgama giusto tra i vari toni e le differenti tematiche presenti

La settantaquattresima edizione del Festival del cinema di Venezia è stata inaugurata da Downsizing – Vivere alla grande di Alexander Payne, interpretato da Matt Damon, Kristen Wiig, Christoph Waltz, Neil Patrick Harris, Alec Baldwin, Udo Kier e Jason Sudeikis. C'era molta attesa per il nuovo film di Payne, già autore di Election (1999), A proposito di Schmidt (2002), Sideways – In viaggio con Jack (2004), Paradiso amaro (2011) e Nebraska (2013) e qui alle prese con uno scenario meno realista e quasi distopico, inedito per il suo cinema; i risultati però sono stati al di sotto delle aspettative e l'accoglienza al festival è stata tiepida. Vedremo presto le reazioni del pubblico, dato che il film esce il 25 gennaio 2018.

Downsizing, la trama

Il film è ambientato in un futuro prossimo non meglio precisato, assolutamente realista e riconoscibile se non per il fatto che il pianeta è sull'orlo del collasso a causa del riscaldamento globale e dell'eccessivo consumo energetico (e quindi abbastanza plausibile pure da questo punto di vista). Per fronteggiare queste emergenze uno scienziato scopre una maniera per rimpicciolire l'uomo, che, minuscolo, consumerebbe e sprecherebbe certamente molto meno. La scoperta viene perfezionata, prende piede e si diffonde; piccole comunità per piccoli uomini vengono costruite su tutto il globo, riproducendo nel dettaglio ogni elemento, fisico, lavorativo, sociale e culturale, del mondo vero.

Queste piccole comunità diventano presto una meta alla moda. Una coppia di sposi (Matt Damon e Kristen Wiig), in crisi coniugale, decide di sottoporsi al processo di rimpicciolimento con la speranza di una vita migliore, ma quando sua moglie si tira indietro all'ultimo momento, all'uomo non resta che unirsi a una piccola comunità di suoi simili e affrontare da solo le difficoltà che derivano dalle nuove misure ridotte.

Conoscerà due avventurieri edonisti e un po' cialtroni (Christoph Waltz efficacemente gigione come sempre e Udo Kier), una realtà più sfaccettata e problematica di quanto apparisse dall'esterno e si renderà conto che i problemi sono gli stessi della vita di prima, e che la fuga non è stata una fuga dal mondo e i suoi problemi, ma da se stesso.

Alexander Payne e la fuga

La tematica della fuga è del resto forse la tematica preferita da Payne. Torna in molti suoi film, e, dal viaggio in camper in A proposito di Schmidt fino alla vacanza di addio al celibato di Sideways e al road movie senile di Nebraska, appare sempre come una fuga impossibile, che non può cancellare il motivo da cui si sfugge e in cui ciò che si raggiunge non è così allettante come si pensava.

È infatti il passato l'elemento che nei viaggi e nei cambiamenti di Payne torna, che aspetta il protagonista dietro l'angolo, costringendolo ad affrontarlo definitivamente una volta per tutte. In questo senso le fughe di Payne sono catartiche; non perché aprano le porte dell'Eldorado come spesso si pensa quando si vuole cambiare vita, ma perché danno gli strumenti e le consapevolezze necessarie per affrontare la vita di tutti i giorni e ripartire sconfiggendo gli accolli, come direbbe Zerocalcare, e assumendo una nuova ottica; come con una rivoluzione quasi nascosta ma decisiva più che con il cambiamento radicale ed esplicito.

In qualche modo questo accade anche in Downsizing. Da un lato perché, con l'abbandono della moglie, il sogno di un futuro migliore viene azzoppato in partenza, dato che è venuto a mancare l'elemento davvero decisivo affinché l'avvenire potesse essere per il protagonista davvero roseo; soprattutto però perché la piccola comunità dimostra di avere gli stessi squilibri e le stesse problematiche del mondo reale. Classismo, razzismo, ingiustizie, sfruttamento, inquinamento e sprechi a livello, per così dire, sociale e politico, insoddisfazioni, solitudini, disagi a livello più intimo e personale; tutto tenuto nascosto dalla propaganda che esaltava queste nuove comunità e la promessa di una nuova vita.

L'analisi

Alexander Payne cerca quindi con Downsizing di avere uno sguardo più politico che si affianchi alla sua tipica, agrodolce e amarognola commedia umana con personaggi alla ricerca di sé come protagonisti e che ha il racconto del privato come ottica principale. Da questo punto di vista il suo film precedente, per quanto sotto molti aspetti diverso, più simile a quest'ultima sua fatica è Election, dove il racconto di una campagna elettorale per diventare rappresentante d'istituto diventava un sarcastico e cinico ritratto dell'arrivismo necessario per raggiungere certi obiettivi in grado di oltrepassare le mura dell'istituto scolastico.

Se Election, un film semplice e poco ambizioso, riusciva però ad essere un efficace e ironico apologo, in Downsizing lo sguardo è molto più sfocato. Payne non riesce a trovare il tono giusto con cui affrontare queste tematiche evitando che rimangano come puro sfondo al malessere e all'evoluzione del protagonista. Non riesce a trovare il giusto equilibrio tra pubblico e privato, per dirla banalmente, così come non riesce a trovare un amalgama efficace con cui unire i vari toni, i riferimenti ai differenti generi sfiorati e le diverse tematiche che caratterizzano l'ambiziosa opera.

Lo spunto distopico rimane appena accennato e solo in parte vengono sfruttate le sue potenzialità narrative, e soprattutto lo sguardo, per dirla sempre banalmente, "pubblico" è didascalico e troppo poco rielaborato, spesso macchiato di retorica e quasi di pressapochismo, non diventando così mai davvero efficace e potente o capace di creare una qualsivolglia riflessione o presa di coscienza nello spettatore. Complice anche una seconda parte sempre più zuccherosa e, appunto, retorica.

Downsizing funziona nella prima parte, quando Alexander Payne rimane fedele alla sua concezione di cinema intimista, a cavallo tra amarezza e commedia, leggero ma capace di leggere con sincerità le crisi e i tormenti dei personaggi e di "sbattergli" la realtà delle loro condizioni in faccia; un cinema medio capace di tendere all'alto (è il caso soprattutto dell'ottimo Nebraska), che viene poi come tradito dalle eccessive ambizioni, dall'incapacità di gestire i vari toni e i diversi punti di vista e da una durata (135 minuti) eccessiva che rende il film pure prolisso.

Voto 5

Frase

Ci vediamo dall'altra parte.

Fonte foto https://www.facebook.com/DownsizingFilmIT/