Pupi Avati racconta i suoi giorni di clausura in una lunga e appassionante intervista al Corriere della Sera. Il regista bolognese, 82 anni il prossimo novembre, spiega come sta affrontando questi strani giorni sospesi caratterizzati dall'emergenza sanitaria da Covid-19. Il "senso di attesa" è forte, tra l'obbligato isolamento domestico e l'epidemia che ha colpito la sua famiglia: il terzo figlio ha contratto il virus.
Pupi Avati, moglie lo tiene in casa: "Mi vieta di uscire"
Avanti rivela al Corriere che il figlio, la nuora e il nipote di 12 anni, che vivono a Londra, sono stati contagiati.
Solo quello di 11 anni non è stato contagiato. Per fortuna, dopo 18 giorni, stanno meglio e hanno ripreso una vita quasi normale.
A lui pensa la moglie: lo accudisce, si prende cura di lui e soprattutto lo tiene in casa.
Mi vieta di uscire, continua a dirmi di lavarmi le mani, non la posso toccare, baciare, abbracciare.
Per la prima volta, ammette il regista, gli manca "più essere abbracciato che poter abbracciare".
Forse erano cose che già facevamo poco, ma ora, anche se volessi, mi è vietato. Mi manca quella specie di bacio della buonanotte che ci davamo la sera. Da vecchio, torni simile a come eri da bambino e io ho grande nostalgia dell'infanzia. Vorrei tornare a essere figlio, avere due genitori che mi portano fuori tenendomi per mano.
La morte non spaventa Pupi, figlio di un antiquario e cresciuto nell'Emilia rurale del dopoguerra. Avati affronta questo argomento serenamente, anche se ha perso un carissimo amico per le complicazioni legate al virus: lo fa citando uno dei suoi film meno ricordati.
Io ho una confidenza con la morte che non è delle generazioni educate all'immortalità e che mi è stata trasmessa dalla cultura contadina. La morte è qualcosa che ho sempre considerato nell'interlocuzione. A casa, ho una parete che chiamo 'la via degli angeli' con almeno 150 deliziosi ritratti in cornici dorate e con tutte le persone della mia vita che se ne sono andate. Tutte le sere, vado a salutarle. Prego dicendo i loro nomi.
Pupi Avati: film e libri per superare la quarantena
Il regista sta trascorrendo i suoi giorni ai "domiciliari" evitando la televisione e tuffandosi a capofitto nella scrittura.
A parte la pausa per il bollettino delle 18, scrivo tutto il giorno e metto in cantiere progetti, perché è come regalarmi futuro: lavoro al film sui genitori di Elisabetta e Vittorio Sgarbi le cui riprese dovevano partire il 23 marzo, lavoro al film su Dante Alighieri che voglio fare dal 2002...
Dal suo appartamento, Roma non gli è mai sembrata così insolita e immersa nel silenzio.
Vivo vicino a Piazza di Spagna da 50 anni e non ho mai sentito un silenzio così profondo e anche un po' solenne, sacro, che ora mi fa venire in mente la piazza vuota di Papa Francesco. Oltre quella piazza, so che non ci sarà niente di più emozionante. Descriverla è impossibile, è una delle rare cose che vedi e per le quali non hai parole, perché sei sotto la dismisura della parte ineffabile della vita. Ogni sera, adesso, davanti ai miei morti, c'è quel silenzio, ma le preghiere non sono cambiate, è cambiato un po' solo il mio modo di vivere.
Avati, classe 1938, di una cosa è certo: tutti noi dobbiamo avere fiducia e speranza per il futuro.
Sono sicuro che quando verrà il contagio zero, sarà il giorno della liberazione e l'inizio della ricostruzione.
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