In una giornata, quella conclusiva della ventottesima edizione del Trieste Film Festival, sabato 28 gennaio 2017, densa di appuntamenti di rilievo, il primo evento speciale sarà dedicato al cinema italiano e programmato in due momenti. Più precisamente, si tratterà di un riconoscimento all'opera di Marco Bellocchio e al suo film più recente Fai bei sogni. Il lungometraggio, tratto dall'omonimo romanzo di Massimo Gramellini, è stato votato dal Sindacato nazionale critici cinematografici italiani migliore film italiano dell'anno. Questo il motivo della sua proiezione mattutina all'interno del festival diretto da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo. Poi, nel pomeriggio, seguirà una conversazione con l'autore condotta da Adriano De Grandis, membro del SNCCI.
Il regista piacentino, 78 anni, continua a regalare al cinema opere prestigiose, sempre nel segno di una poetica rigorosa che contraddistingue tutta la sua filmografia avviata negli anni Sessanta con quel capolavoro d'esordio che è I pugni in tasca. Fin da allora, Bellocchio ha esplorato le complesse trame dell'universo familiare, dei rapporti problematici e distorti, della memoria e del disagio. Lo ha fatto, nel corso dei film e degli anni, affrontando il soggetto della famiglia con stili e punteggiature differenti perché la sua carriera è stata connotata da cambiamenti all'interno di una ricorrente costellazione di tematiche (di cui quella familiare è una, ma si pensi anche al suo ragionare sulla Storia e sull'attualità dell'Italia e allo spazio riservato ai personaggi femminili, ai loro corpi, desideri e sessualità). Potrebbe sembrare strano che l'autore di Sangue del mio sangue e di Bella addormentata abbia scelto di tradurre in immagini il romanzo autobiografico, e best seller, di Gramellini. Ma è lo stesso regista a specificare che ciò che l'ha attratto non è stato il grande successo editoriale del libro, ma il suo contenuto. Perché, come Bellocchio, anche lo scrittore torinese si è immerso nella descrizione di una storia familiare, la sua, rivissuta dal protagonista Massimo (Valerio Mastandrea) che ritorna a quel momento traumatico che fu la scoperta, all'età di nove anni, della misteriosa morte della morte. Il rumore che lo svegliò quella notte non lo ha mai abbandonato. Ecco dunque, attraverso questa storia, l'occasione, sia per Gramellini sia per Bellocchio, di tuffarsi negli spazi più reconditi della propria memoria, dei propri fantasmi, e, nel farlo, cercare di ordinare il proprio passato.
A colpire Bellocchio è stato “il dramma che il romanzo contiene, la morte della mamma, l'essere orfani quando si è ancora bambini”. “Questa storia mi ha coinvolto - continua il regista - perché vi ritrovo tanti temi che ho affrontato spesso nei miei film, compreso quello della casa, dove si svolge la metà del film, una casa in epoche diverse, trent'anni almeno, nei quali l'Italia cambia radicalmente”.
E poi in Fai bei sogni c'è molto altro. C'è un controcampo che allarga il racconto privato e lo colloca in una dimensione storica con il continuo soffermarsi su una televisione che rimanda immagini di Canzonissima, dello sceneggiato Belfagor del 1965 (ovvero l'anno de I pugni in tasca...), e ancora la storia del grande Torino, Tangentopoli e le giornate di guerra civile a Sarajevo che Massimo vive in prima persona come inviato...
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