La mezza stagione di Danilo Caputo è un piccolo gioiello, raro film di forza espressiva che evade il sensazionalismo dell’immagine che viene invece usata per dare forza, sprigionare energia, da un racconto apparentemente minimalista.
Film che ha una sua cifra stilistica anche nel rigore dello stile in cui è stato girato, quadri fissi con camera car che danno poco spazio all’improvvisazione e si concentra sull’azione dei personaggi. I personaggi. I personaggi sono tre, Giovanni, Cesare e Sissi. Il primo è un precario ma forse manco più quello, Cesare è un musicista che per campare fa il portiere d’albergo, la donna è inseguita da incubi dove rivede il padre morto da poco.
Li scopriamo alla fermata dell’autobus quando scendono in un paese, tra i tanti del sud, dove comincia la loro avventura. In questo paese, che da alcune informazioni sappiamo essere in provincia di Taranto, aleggia un’atmosfera da fine del mondo con una serie di segni ed eventi che trasmetto questa sensazione di incombenza dove le cose non possono finire bene.
Film audace, sicuramente fuori dall’ovvietà e per questa, anche solo per questo, mai banale. Basti pensare alla prima parte intitolata Suoni e rumori dove a dominare la narrazione e il lavoro svolto sulla colonna audio: infatti cesare vuole registrare i suoni della natura per farne musica elettronica da qui una colonna audio (quella originale del film) che mescola suono in presa diretta con quello mixato.
La mezza stagione è una commedia anticommedia, nel senso che fugge dalla spettacolarità, e un film sugli invisibili, quei personaggi e quelle ambientazioni che le commedia di cassetta che invadono i nostri fine settimana si sono scordati di raccontare, forse perché del tutto incapaci a farlo.
Massimiliano Pistonesi
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