Fa il proiezionista ma sogna di diventare detective. Studia un manuale d’istruzione e applica le regole fondamentali per risolvere un caso di furto nella casa della fidanzata. I guai, però, lo attendono. La perfidia del rivale in amore è spietata. La giovane innamorata lo lascia. Rifugiatosi nella cabina di proiezione, fa partire il film per gli spettatori in attesa (la cui storia ruota attorno a una collana rubata) e si addormenta accanto al proiettore. Inizia a sognare. Si sdoppia. Entra nel film proiettato sul grande schermo, catapultato e disorientato all’inizio, poi nel ruolo del migliore investigatore privato in circolazione, chiamato per scoprire l’identità del ladro.
È il 1924 quando Buster Keaton gira e interpreta Sherlock Jr. (in Italia fu chiamato La palla n° 13). Ha 29 anni e una filmografia avviata nel 1917 che comprende già numerosi titoli di durata breve variabile, dove il comico statunitense è attore e, sempre più nei ruggenti anni del muto, anche regista. Sherlock Jr. è uno dei suoi massimi capolavori, e torna in tutto il suo splendore nelle sale nella versione restaurata nel 2015 da Cineteca di Bologna e Cohen Film Collection nel laboratorio L’Immagine Ritrovata.
Vi torna in coppia con un altro capolavoro, anch’esso restaurato dagli stessi tipi, Il monello (The Kid), del 1921, di Charles Spencer Chaplin. Ma se il film con protagonista il vagabondo Charlot che trova in strada un neonato abbandonato dalla madre e lo salva, accudisce, cresce e rende complice del suo “metodo” per lavorare come vetraio, facendogli rompere vetrate tirando sassi così da poterle poi riparare, è diventato un classico del cinema noto al pubblico di ogni generazione, anche per i regolari passaggi televisivi, quello con Keaton sdoppiato è un oggetto ben più raro (pur se con l’attuale moltiplicazione dei luoghi di visione è facilmente reperibile, in copie non perfette, su YouTube. Per esempio:).
Raro perché Keaton è stato meno mediatico, meno empatico, meno fruibile del Chaplin/Charlot immediatamente coinvolgente, e genialmente tale. Il corpo infrangibile di Keaton, il suo volto immobile, la negazione della sua voce, sono il preciso di-segno di una forma poetica che richiama sempre, dentro la comicità, un instancabile pensiero teorico sulla frantumazione dello spazio e del tempo. E non potrebbe esserci opera migliore di Sherlock Jr. per definire questo percorso artistico.
Film di insuperabile modernità per idee e sperimentazione tecnica (il suo personaggio che entra e esce dallo schermo anticipa di sessant’anni La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen), Sherlock Jr. propone un continuo e geometrico gioco di specchi e di vetri tra la cabina di proiezione, lo schermo del cinema, lo specchio appeso nella cabina. Quelle superfici, e la mise en abyme utilizzata, ospitano il corpo di Keaton proiezionista, la sua ombra che si separa da lui quando si addormenta, fino ad accogliere l’ingenuo sognatore e la fidanzata ritrovata. Tale condizione teorica, come in una dimensione circolare, sarà espressa magistralmente in Film (1965) di Alan Schneider ispirato a Samuel Beckett. Keaton, che ha lavorato fino all’anno della morte, il 1966 (figura anche in un memorabile cameo in Due marines e un generale, del 1965, di Luigi Scattini con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia), ma non ha mai parlato in nessun film, nel cortometraggio di Schneider (fresco di restauro, imperdibile, sarà nelle sale da febbraio 2017; nel frattempo lo si può vedere intero, anche qui in copia mediocre, su YouTube) si trova solo in una stanza, anziano, in fuga da sé, dagli specchi che riflettono la sua immagine, si copre il volto. Tutto torna.
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