Siamo sulla scena del crimine accanto a Michael Moore. Il cielo è grigio e Michael sta sigillando con un nastro giallo i luoghi del delitto…o dei delitti?! È così che finisce questo film, e la sensazione dello spettatore è quella di essere proprio in prima linea. Questo viaggio inizia dalla fine, fra le città di un’America “pignorata”. Lexington, Flint, Boston, Anderson, Sacramento…sembra di essere su un aereo, o forse sullo sgangherato furgone di Michael, invece siamo semplicemente seduti sulla nostra poltrona preferita e stiamo guardando un film: Capitalism: a love story.
Lo conoscete? Girato fra le città di un’America condannata da un capitalismo in crescendo, il film-documentario si cala all’interno della realtà che ci racconta. Siamo nei giardini delle case della gente della classe media, gente sfrattata da banche impassibili, addestrate a parlare di capitalismo come libera impresa. Siamo dentro la Goldman Sachs, siamo alla Morgan Stanley, all’UBS, alla Citigroup o alla JP MorganChase; siamo sui luoghi del delitto, o meglio, dei “delitti capitalistici”, tanti o forse troppi, come i tentacoli e le tentazioni dei soldi. La lente di osservazione è il punto di vista interno: non mancano i salotti con le interviste a persone “incriminate” o semplicemente vittime del sistema, non mancano le fabbriche occupate o i luoghi pubblici in cui apprendiamo in diretta che è Obama il nuovo presidente degli Stati Uniti. Possiamo cantare vittoria. E poi siamo di nuovo alla fine, da dove avevamo “cominciato”: stessi nastri , stesso cielo, stesso Michael. Il film è finito, così come questo nostro strano viaggio. Grazie Michael, grazie del passaggio e grazie per il coraggio che hai quando ci racconti la verità.
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