Da più parti si vocifera con insistenza di un Massimo Giletti vicinissimo al ritorno in Rai. A giudicare dalle sue recenti dichiarazioni, tuttavia, il conduttore appare sempre più lontano dal servizio pubblico. In un'intervista concessa a La Stampa, il giornalista spende parole durissime per il clima che si respira dalle parti di Viale Mazzini. D'altronde lui ha traslocato il suo Non è l'Arena su La7 nel 2017 proprio per non avere ingerenze nella domenica pomeriggio dell'ammiraglia.
Massimo Giletti: Non è l'Arena è "televisione al limite"
Dalle colonne del quotidiano torinese, Giletti lancia una provocazione: sfida a chiedere a tutti i suoi colleghi se il suo editore, Urbano Cairo, "abbia mai fatto una telefonata a Mentana, a Floris e a tutti gli altri per chiedere qualcosa!". Il riferimento, ovviamente, è al caso Fedez scoppiato al concerto del Primo maggio.
Io sono a La7 da quattro anni e nella mia decisione sul futuro peserà il mio senso di libertà. Perché io faccio una televisione che è al 'limite'. Le battaglie contro Bonafede e le scarcerazioni dei mafiosi. O quella che ho fatto, isolato, contro Arcuri non avrei mai potuto farle altrove.
Giletti non denuncia la lottizzazione: quella esiste dal 1954, c'è sempre stata e continuerà ad esistere. Il presentatore odia piuttosto l'ipocrisia perché "il Parlamento, come è giusto che sia, detiene il controllo su un'azienda pubblica".
Il problema è che ai tempi di Ettore Bernabei, il direttore generale della Rai che ha fatto la storia della televisione italiana dal 1961 al 1974, "c'erano grandi dirigenti che avevano al centro il prodotto e sapevano dire no ad un certo tipo di pressioni".
Oggi c'è uno scadimento di qualità e di competenza nella gestione dell'azienda. Una parte dell'azienda lavora alla grande e un'altra parte è prona ai poteri politici. In una forma di vassallaggio che mi fa molta tristezza.
Massimo Giletti: in Rai tanta "debolezza culturale"
Giletti non sta né con Fedez né con Franco Di Mare, il direttore di Rai 3 che in commissione Vigilanza ha accusato il rapper di "manipolazione" e "discredito sul servizio pubblico".
Il volto di Non è l'Arena denuncia chi non capisce ancora che "basta mezza frase di personaggi così abili e influenti e sei spacciato: fai diventare martire chi, magari, non è stato neppure oggetto di una censura! I martiri veri sono altri!".
Questa storia racconta la debolezza culturale di una struttura che non capisce che non si possono dire certe cose. Fedez sarà pure bravo a gestire il marketing di se stesso ma è anche un artista che deve parlare di ciò che vuole sul palco. E invece tutti hanno finito per parlare del caso.
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