Sulla scia dello sciopero degli sceneggiatori statunitensi prima e ora delle star di Hollywood, anche attori e registi italiani si mobilitano. Sei associazioni di categoria hanno scritto una lettera aperta alla premier Giorgia Meloni per chiedere al governo di prendere provvedimenti su "questioni professionali non più rimandabili": l'equo compenso e il comportamento in merito delle piattaforme. I firmatati sono 100 Autori, AIR3 (Associazione Italiana Registi), ANAD (Associazione Nazionale Attori Doppiatori), Artisti 7607, UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) e WGI (Writers Guild Italia).
Attori e regista italiani scrivono a Giorgia Meloni
Nella lettera rivolta alla Meloni, al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e al Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, le associazioni chiedono alle istituzioni il recepimento della Direttiva europea sul copyright per i compensi adeguati (il diritto degli autori e interpreti a compartecipare degli utili generati dalle opere a cui hanno preso parte) da parte delle piattaforme streaming.
"Le nostre associazioni – si legge nel testo – rappresentano migliaia di professionisti: autori, sceneggiatori, artisti interpreti e doppiatori, tutti impegnati nella filiera della produzione audiovisiva italiana".
Sul tema dei compensi non adeguati da parte delle piattaforme streaming alle nostre categorie, sulla mancanza dei dati necessari alla definizione dei compensi e sulla sistematica mancanza di buonafede da parte dei grandi utilizzatori nella conduzione delle trattative con gli organismi di gestione collettive, nelle ultime settimane abbiamo seguito le audizioni svoltesi presso la Commissione Cultura del Senato della Repubblica.
I casi a cui si riferiscono le associazioni sono quelli tra SIAE e Meta per la gestione della musica su Facebook e Instagram e tra Artisti 7607 e Netflix per chiedere alla piattaforma compensi adeguati per gli interpreti ed esecutori italiani. "Nel corso delle audizioni – fanno sapere i firmatari – i rappresentanti delle piattaforme hanno sostenuto, con strumentali interpretazioni normative, di essere in regola con le previsioni di legge sulla trasmissione dei dati e di corrispondere dei compensi 'adeguati e proporzionati' come indicato dalla Direttiva copyright e dal Decreto legislativo di recepimento nel nostro ordinamento".
Al netto di generiche frasi di sostegno alle nostre categorie, i rappresentanti delle piattaforme hanno completamente evaso il tema delle informazioni sui ricavi che generano in Italia e non hanno comunicato quale livello medio di compensi le piattaforme corrispondono ai professionisti coinvolti nelle opere. Abbiamo ascoltato soltanto mere autodichiarazioni prive di riscontri.
Le associazioni del cinema italiano: "Compensi inadeguati"
Le associazioni sottolineano che l'atteggiamento dei giganti dello streaming, multinazionali che "dirottano all'estero grande parte dei ricavi", è "di proterva indifferenza alle norme, alle istituzioni, ai diritti delle persone". La lettera ricorda l'intervento del presidente dell'Agcom, incentrato "sulla presunta scarsa chiarezza normativa nel settore e sulla altrettanto presunta confusione nata dalla liberalizzazione, che renderebbero conflittuale il mercato".
Nulla ha detto sul tema dell'adeguatezza dei compensi che le piattaforme devono corrispondere, nulla sul rispetto dei principi prevista dalla Direttiva copyright che nasce proprio per tutelare le nostre categorie, nulla sui dati che le piattaforme devono per legge comunicare.
I firmatari aggiungono che "il presidente dell'Agcom non ha peraltro ricordato che l'Autorità da lui presieduta non ha ancora emanato, dopo quasi due anni, il regolamento previsto dal d.lgs 177/21". Questa situazione è "inaccettabile" per le associazioni di categoria e "una ulteriore manifestazione di indifferenza nei riguardi dei più basilari diritti delle artiste ed artisti che rappresentiamo, ad oggi ancora privi di un Contratto nazionale di lavoro e ai quali viene ora negato anche l'accesso a compensi 'adeguati e proporzionati' per il frutto del proprio lavoro, come invece stabilito per legge".
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