Ha vinto House in the Fields di Tala Hadid. E ha vinto, più estesamente, premiato oppure no, quel cinema proveniente dal mondo, spesso da cinematografie poco o per nulla note in Italia se non ai frequentatori dei festival, capace di creare dubbi, aprire riflessioni, abbattere barriere di generi, formati, durate, individuare percorsi artistici per analizzare la complessità del vivere oggi in qualsiasi parte della Terra. Al festival del cinema africano, d'Asia e America Latina di Milano (FCAAAL, 20-26 marzo 2017) hanno dialogato film e cineasti conosciuti o dalle filmografie ai primi passi; hanno trovato lo stesso spazio di visibilità I Am Not Your Negro (candidato all'Oscar 2017 per il miglior documentario e pietra miliare per chiunque d'ora in poi vorrà studiare questo argomento) e il suo regista Raoul Peck (che, attraverso le parole dello scrittore afro-americano James Baldwin e ricchi materiali d'archivio, ha costruito a partire dal passato una riflessione sul presente attraverso le lotte per i diritti attuate dai leader e dalla comunità nera statunitense) e Burning Birds di Sanjeewa Pushpakumara, cineasta dello Sri Lanka (una cinematografia di altissimo livello seguita con puntualità dal festival milanese) al secondo lungometraggio, un capolavoro di intensità formale e narrativa che racconta la tragedia senza fine di una donna e della sua famiglia con immagini prelevate dalla pittura di Caravaggio e Rembrandt; hanno avuto la stessa attenzione My Hindu Friend, il suo regista Hector Babenco (Il bacio della donna ragno) e il suo interprete Willem Dafoe, nel ruolo dell'alter ego del cineasta brasiliano scomparso nel 2016, e Per un figlio e il suo giovane autore Suranga Deshapriya Katugampala, nato in Sri Lanka (ecco che torna in primo piano quel paese asiatico...) e da anni residente in Italia, al suo primo lungometraggio (già menzione speciale della giuria alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro nel 2016) di prossima distribuzione nelle sale dove si descrive il difficile rapporto tra una donna srilankese e il figlio adolescente, cresciuto in Italia, in una città di provincia del Nord.
Distribuzione che sarebbe importante trovasse anche il film vincitore della ventisettesima edizione del festival, House in the Fields, documentario inscritto nell'intimità, nella fiducia e complicità creatasi fra la regista Tala Hadid (padre iracheno, madre marocchina, nata a Londra nel 1974, studiosa di Pasolini) e una comunità berbera, in particolare una famiglia e ancor più le due sorelle, che vive isolata sulle montagne dell'Alto Atlante. Un gioiello di cinema. La conferma del talento di una regista dopo il lungometraggio d'esordio di finzione The Narrow Frame of Midnight, odissea di un uomo dal Marocco all'Iraq alla ricerca del fratello scomparso.
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