Comincia il festival di Sanremo. E come antidoto non c’è cosa migliore che tuffarsi nel musicarello. Quel genere, o sottogenere, cinematografico che visse per breve tempo, il suo splendore durò una decina d’anni, ma lasciò una traccia perpetua. Oggi, quei film nei quali i big della canzone italiana recitavano e soprattutto cantavano, quei film che molte volte portavano il titolo dell’hit musicale del momento, che erano composti di storie d’amore mai troppo elaborate, come si trattasse di un fotoromanzo, e che vivevano delle performances canterine dei divi in auge, quei film che proprio per tale ragione richiamavano folle di spettatori giovani attratti da nuove modalità di fare musica e che erano costruiti come una sorta di instant movies per sfruttare al meglio la canzone, o le canzoni, di successo da poter non solo riascoltare ma vedere sul grande schermo, sono oggetti di culto. E nella marea di pellicole che uscirono in particolare allo scadere degli anni Cinquanta e nel decennio seguente si possono incontrare delle meraviglie che reggono benissimo la loro età, grazie anche alla regia di cineasti prestati al genere.
Si tratta di una filmografia sterminata. Non a caso inaugurata da registi di calibro come Lucio Fulci, Mario Mattoli, Piero Vivarelli, che rimarranno le firme più autorevoli dei musicarelli. A Fulci, che diventerà poi un maestro dell’horror passando per i film comici con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, si devono I ragazzi del juke-box (1959), Urlatori alla sbarra (1960) e Uno strano tipo (1962), in assoluto tra i migliori musicarelli realizzati nell’età d’oro del genere. Un trittico con Adriano Celentano sempre più in primo piano. Insieme a lui, in Urlatori alla sbarra, c’è Mina. In Uno strano tipo, il Molleggiato si sdoppia nel ruolo di se stesso e in quello del sosia Peppino in una commedia degli equivoci ambientata ad Amalfi. Del 1960 è anche un altro classico, Appuntamento a Ischia, dove Mattoli, uno dei grandi del cinema popolare italiano, dirige Domenico Modugno, che ha il ruolo di protagonista e che ovviamente canta (anche Vecchio frac). Sempre nello stesso anno Vivarelli entra nel musicarello, con la sua energia e le sue folgoranti invenzioni, girando Sanremo - La grande sfida, ambientato durante le giornate della kermesse canora fra truffe e innamoramenti. Con Io bacio… tu baci (1961), star Mina e Celentano, Vivarelli confeziona in un moderno bianconero e attorno a una esile storia (un’osteria, punto di ritrovo dei giovani e di esibizione dei cantanti alla ribalta, sta per essere venduta e bisogna fare di tutto per impedirlo) una scatenata commedia musicale dove si alternano i sempre presenti Celentano (con 24.000 baci) e Mina (Le mille bolle blu, Il cielo in una stanza, la canzone che dà il titolo al film…) e Peppino Di Capri, Jimmy Fontana, i Rockers e The Flippers…
Gli anni passano, i musicarelli proliferano. Ettore M. Fizzarotti diventa il regista di Gianni Morandi (da In ginocchio da te, 1964, a Non son degno di te, 1965, da Se non avessi più te, 1966, a Chimera, 1968), ma anche di Bobby Solo (Una lacrima sul viso, 1964). Due capolavori, entrambi del 1967, di Little Tony diventano film per la regia di Mario Amendola, Cuore matto… matto da legare, e di Bruno Corbucci, Riderà (Cuore matto). Siamo nella seconda metà degli anni Sessanta e il musicarello comincia a eclissarsi, pur essendo la produzione ancora numerosa. I tempi stanno, ancora una volta, cambiando.
Senza chiamarli più con questa definizione, non si possono però non ricordare i film costruiti negli anni Ottanta sui successi di Nino D’Angelo, popolati di struggimenti mélo, sceneggiata napoletana, strisce da fotoromanzo. Una serie non solo cult, ma di sorprendente passione per un cinema popolare al tempo stesso di quartiere e senza confini. Due, i registi che l’hanno caratterizzata: Ninì Grassia e Mariano Laurenti. Da L’Ave Maria (1982) a, titolo perfetto, Fotoromanzo (1986). E, appena precedente a essi, il secondo film di Carlo Vanzina, Figlio delle stelle (1979), cercava un ormai impossibile ritorno a quel cinema. Non ebbe successo, ma teorizzava la regola del musicarello, che si basava sulla velocità nel girare un film a stretto ridosso del successo della canzone. Le parole di Enrico Vanzina dicono tutto: “Ci chiamarono per fare un film con Alan Sorrenti, che fu una catastrofe totale, una delle più grandi catastrofi della storia del cinema. Fu addirittura cambiato nome al film, da Figlio delle stelle a Tu sei l’unica donna per me. Quei film bisognava farli in un mese, ci mettemmo troppo tempo e nel frattempo la canzone era cambiata… Il film uscì a Pasqua, io ero a Capri, chiamai per sapere gli incassi e andò talmente male che in una città chiusero il locale perché non era entrato nessuno!”.
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