A Giacomo Abbruzzese, regista quarantenne tarantino ma parigino d'adozione, sono serviti dieci anni per girare Disco Boy, il suo film di debutto. Un esordio al quale ha lavorato una vita, nonostante in passato Abbruzzese abbia diretto numerosi cortometraggi e documentari. Il suo curriculum include America (sulla vita avventurosa del nonno Claudio da Venezia a New York), Stella Maris (fiaba meridionale tra spiritualità e rivoluzione) e I Santi, con Gaia Girace in cerca di salvezza e redenzione per il fratello tossico nel dedalo di viuzze e slarghi della città vecchia di Taranto.
Disco Boy, Berlinale ha il suo film "italiano"
Prodotto dalla Dugong di Giulia Achilli e Marco Alessi con Films Grand Huitm, Donten & Lacroix e Panache Productions, Disco Boy è l'unico film italiano in Concorso alla Berlinale 2023. Eppure di italiano ha davvero poco: parte di produzione, la provenienza del suo regista, in un piccolo ruolo nel cast Matteo Olivetti (il protagonista di La terra dell'abbastanza con Andrea Carpenzano), nel comparto tecnico il montatore Fabrizio Federico e il sound designer Piergiorgio De Luca. Non parla nemmeno italiano Disco Boy: è recitato in cinque lingue (francese, russo, inglese, tedesco, igbo) e uscirà in sala (il 9 marzo, distribuisce Lucky Red) con i sottotitoli in italiano.
Ma cosa racconta di preciso Disco Boy? È una atipica storia di guerra, colonialismo e migrazione dei corpi e delle anime. Con una scena post-credits ancor più misteriosa delle sue premesse. Abruzzese tesse sapientemente tre vicende diverse ma intrecciate tra loro per dare vita ad una avventura straniante, toccante e fuori dal comune.
Aleksei (il tedesco Franz Rogowski, già apprezzato come folle nazista in Freaks Out di Gabriele Mainetti e da rifugiato politico in La donna dello scrittore di Christian Petzold) è un giovane bielorusso che riesce ad entrare in Francia dopo aver perso il compagno di viaggio Michail durante la dura traversata lungo i confini dell'est Europa. Raggiunta Parigi, Alex si arruola nella Legione straniera per cancellare il passato e immaginare un futuro migliore: soltanto diventando legionario potrà ottenere i documenti e la cittadinanza.
In Africa, in un villaggio isolato sul Delta del Niger, Jomo (il gambiano Morr Ndiaye, arrivato in Sicilia dopo essere stato imprigionato in un centro di detenzione in Libia) è un rivoluzionario che ha abbracciato la lotta armata contro le compagnie petrolifere che stanno distruggendo la Nigeria. La sorella Udoka (la performer, artista e attivista ivoriana Laëtitia Ky), stanca di essere sfruttata, sogna invece di fuggire in cerca di una nuova vita in Europa. Ad unire i due, sono una singolare eterocromia e il potere della danza.
Disco Boy, film acerbo ma da vedere (e sostenere)
I temi e i simboli da sempre al centro del cinema di Abbruzzese ci sono tutti: la purezza della libertà, la notte attraversata dalla luce, le fiamme che distruggono il potere, l'acqua sorgente di vita e di morte. Il film è un susseguirsi di accadimenti autentici e iperrealistici, ma improvvisamente avvengono alcuni fatti insoliti e soprannaturali che trasformano i tre personaggi in protagonisti di sogni e surrealtà. Contribuisce a questo clima psichedelico la colonna sonora elettronica del produttore e compositore francese Vitalic, mai così ispirato dai tempi di La leggenda di Kaspar Hauser di Davide Manuli.
Al netto di alcune imperfezioni di scrittura, Disco Boy è un vitale e radicale dramma dell'identità e della liberazione dalla schiavitù, pieno di inquadrature e sequenze ricercate (su tutte quelle notturne con i visori dei soldati) e dall'impatto visivo e sonoro impressionante. Simbolicamente potentissimo, Disco Boy ha il suo cuore (di tenebra) soprattutto nel controcampo della narrazione delle migrazioni, adottando un registro a metà tra il sovrannaturale e la descrizione realistica e politica di una generazione divisa tra le radici, il rito, le tradizioni e la fuga, la libertà, la condivisione.
Insomma, seppure acerbo e non privo di ingenuità, il grande merito di Disco Boy è soprattutto quello di scuotere lo spettatore, azzardare sempre e provare a restituire un'immagine concreta e al tempo stesso allegorica di uno dei più cruciali eventi storici degli ultimi decenni: il post-colonialismo e i movimenti migratori.
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