Sta per iniziare a Torino il festival di cinema a tematica musicale SeeYouSound (dal 27 gennaio al 4 febbraio 2017, ne riparleremo). Nell'attesa, trattandosi di un lavoro dove immagini e musica interagiscono ad alto livello, ci si può preparare (ri)vedendo un film che, nei cinema, aveva avuto, nonostante il nome del regista, una visibilità ridotta: Duran Duran Unstaged di David Lynch.
Un punto interrogativo bianco disegnato, scheggia d’animazione apolide, si sposta in alcune inquadrature del film realizzato da Lynch nel 2011, appare e scompare, poi si spezza, chi lo ha creato lo manda in frantumi varie volte. Quel corpo minuscolo contiene il senso dell’esperimento filmico Duran Duran Unstaged composto da David Lynch sul palco del Mayan Theatre di Los Angeles nel 2011 in occasione del concerto che vedeva ri-unirsi in formazione originale il gruppo pop inglese guidato da Simon Le Bon. Di fronte a questo collage sensoriale, a questa sovrimpressione espansa nella quale co-esistono la musica, i suoni, le parole delle canzoni dei Duran Duran e le onde visive oniriche dell’autore di Mulholland Drive (opera che, più di altre lynchiane, affiora e si dissolve nella moltitudine di strati di questo anomalo film-concerto), bisogna porsi delle domande e, al tempo stesso, non chiedersi delle spiegazioni. Quel punto interrogativo spezzato è lì, irriverente, come fosse un vero e proprio personaggio, per nulla marginale, a ricordar(ce)lo.
Piuttosto che cercare di incasellare ogni tassello (ogni apparizione reale o virtuale, ogni effetto speciale che mostra la musica, ogni analogia fra parola e immagine, ogni scorribanda - di bambole, leopardi giocattolo, pupazzi di altri animali, esili fili di palloncini con maschere al posto dei palloncini… - che anima quadri fisici/astratti fermi/in movimento), meglio lasciarsi tras-portare nel gioco cromatico non innovativo ma confermativo della poetica rigorosamente messa in scena da David Lynch.
Nel film (realizzato per American Express, già produttrice di un altro, ancor più memorabile, incontro fra cinema e musica, che documentava la relazione fra la band rock di Las Vegas The Killers e lo sguardo oltre i confini di Werner Herzog, ovvero The Killers Unstaged) si intravedono, per lampi, richiami all’espressione pittorica perseguita da Lynch nel corso della sua carriera (ancora e sempre è quel punto interrogativo a tracciare similitudini e, infrangendosi, a cancellarle, impedendo a esse di pesare troppo).
Ma Duran Duran Unstaged - così puntuale nel filmare non solo il palco e la scenografia che avvolge Simon Le Bon, gli altri componenti del gruppo e gli ospiti chiamati a duettare in diverse occasioni, ma anche la platea e la galleria del teatro colme di persone in festa, folla anonima che le macchine da presa cercano, ascoltandone a lungo la presenza - si pone, in una delle sue molteplici identità, come il controcampo alle scene ambientate nel teatro losangelino delle illusioni di Mulholland Drive. Palcoscenico e spalti quasi deserti, abitati da pochi illusionisti e cantanti e da altrettanto sparuti spettatori di una performance senza musica, dove tutto è registrato. Il film girato al Mayan Theatre riempie quei vuoti, li popola di musica live e di corpi in continua azione. Osservati danzare da Lynch, artista che, certo con molto narcisismo, introduce l’esperimento che sta per compiersi per poi eclissarsi, rinunciare a mostrarsi alla fine del concerto insieme alla band. Nascosto chissà dove, in qualche interstizio analogico/digitale. O, forse, proprio in quel punto interrogativo unstaged.
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