Primo lungometraggio italiano di animazione con effetti speciali e riprese informatiche, La freccia azzurra fece conoscere a livello internazionale la società e il regista che lo realizzarono, Lanterna Magica e Enzo D’Alò. Era il 1996 e quel film, ispirato all’omonimo racconto di Gianni Rodari del 1964, ebbe l’anteprima alla Mostra del cinema di Venezia. Ma Lanterna Magica (il cui nome fa riferimento a una forma di proiezione del precinema) operava nell’animazione già da oltre dieci anni, quando fu fondata a Torino nel 1983, impegnata inizialmente a produrre cortometraggi animati con finalità didattiche. D’Alò, nato a Napoli nel 1953, torinese d’adozione, compì i primi passi in quel laboratorio. Poi, per lui e per Lanterna Magica, il grande salto con un’opera che, ancora oggi, figura come un caposaldo all’interno del genere e che occupò gli animatori dello studio per quattro anni. Il film, co-prodotto da Svizzera e Lussemburgo, uscì nelle sale nel novembre del 1996. E un anno dopo vinse il Nastro d’argento e il David di Donatello per la colonna sonora di Paolo Conte.
Nomi celebri dello spettacolo portarono il loro contributo. Oltre al cantautore astigiano che compose la musica, parteciparono al lavoro Dario Fo, Lella Costa e Neri Marcorè dando le loro voci rispettivamente al dottor Scarafoni, perfido complice della Befana, alla vecchina che vola su una scopa e a Pastello Giallo. Sono passati vent’anni e per celebrare l’importante ricorrenza Lanterna Magica, in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, ha riportato sul grande schermo, domenica 8 gennaio 2017 al cinema Massimo di Torino, La freccia azzurra. Data non casuale, ispirandosi il film alla leggenda della Befana ed essendo ambientato nella notte tra il 5 e il 6 gennaio.
Ripensare e (ri)vedere oggi La freccia azzurra è necessario. Perché si tratta di un testo pionieristico, segno della miglior professionalità artigianale, dell’immaginazione creativa sviluppata da un team che avrebbe proseguito la sua ricerca nei successivi film d’animazione, tra cui La gabbianella e il gatto (1998), tratto dal romanzo di Luis Sepúlveda Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, ancora diretto da D’Alò.
Le parole del regista, ricordando per il volume Torino città del cinema (pubblicato nel 2001) l’esperienza relativa a La freccia azzurra, che fu anche il suo lungometraggio d’esordio, esprimono bene quel momento felice per il cinema d’animazione italiano: “L’idea un po’ pazza di realizzare un lungometraggio per il cinema è nata in un momento di enorme crisi del cinema d’animazione italiano, in cui si guardava con ambizione e invidia ai colleghi francesi o ai tedeschi che da diversi anni avevano sviluppato la produzione, perlomeno indirizzata alla televisione. Dopo La freccia azzurra tutti hanno ripreso fiducia, non solo in Italia, e si sono rimessi a lavorare anche per il cinema: è stato come un torrente in piena che ha divelto tutti gli argini!”.
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