La regola numero uno per vedere Lost era non perdere anche solo qualche minuto di un episodio. Pena la totale incomprensione di quanto sarebbe accaduto dopo. A volte la trama era così complicata e così difficile che sembrava quasi necessario consultare una qualche guida. E non è detto che le abbiano davvero scritte.
Così, ora che una delle serie più apprezzate, seguite e che certamente ha saputo lasciare il segno è finita, gli autori di Lost, Damon Lindelof e Carlton Cuse sono stati intervistati dal magazine «Esquire», e hanno parlato liberamente della loro creatura, con una buona dose di sincerità.
I due autori hanno parlato anche di episodi imbarazzanti, degli episodi meno credibili di tutti e al limite dell'accettabile e dell'influenza che hanno avuto i social media sulla serie. La sincerità prima di tutto: «Sono state prodotte 121 ore di Lost, tra cui 15-20 sotto la media e al limite della decenza. Sarebbe bello far finta che certi episodi non siano mai andati in onda, ma a volte l'errore, la cosa che non funziona è proprio quella che entra a far parte della mitologia di una serie». Tra gli elementi di cui hanno più rimpianti c'è la storia di Nikki e Paulo; o ancora, tra i ilivelli più bassi della serie, i due autori hanno segnalato la vicenda di Jack in Thailandia e di si fece tatuare.
Ma su una cosa i due autori hanno voluto essere assolutamente chiari, in modo da non suscitare equivoci di qualunque sorta: la fine assoluta e incontrovertibile di Lost. «Abbiamo intitolato l’ultimo episodio "The End" perché volevamo essere sicuri che non ci fosse ambiguità sul fatto che era tutto finito; abbiamo ucciso tutti i personaggi principali, oltre a mostrare cosa gli è accaduto dopo la morte. Oltre non potevamo andare!» ha dichiarato Lindelof, e Cuse ha poi aggiunto: «Abbiamo pensato alla reincarnazione, ma sarebbe stato troppo per chiunque».
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