Quasi contemporaneo a Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans, anch’esso del 2009, My Son, My Son, What Have Ye Done (dove l’uso arcaico del “you” indica fin dal titolo il depistaggio di quello che, in modo non prevedibile, accadrà e il segno del sempre più intrecciato spostarsi immobile fra antico e moderno di cui il testo è colmo) è uno dei non frequenti film americani di Werner Herzog. Quest’opera (disponibile in streaming gratis senza registrazione su PopcornTv), che ha in David Lynch il produttore esecutivo, è uno straordinario, arioso, libero sunto del pensiero herzoghiano. Che, con lucida composizione figurativa e musicale, riaccoglie le ossessioni di una vita filmica per scioglierle, ancora e sempre, in sorprendenti dimensioni espressive e sensoriali. Ciò è evidente fin dall’inquadratura iniziale, inscritta, come tutto il film, in cromatismi dai colori sottratti ai colori - al punto che lo si può pensare, immaginare, ricordare come un film in bianconero…
Il titolo fa riferimento alla frase che la madre (Grace Zabriskie, attrice lynchiana di lungo corso) dice al figlio Brad (un folgorante Michael Shannon) nel culmine della tragedia. Una frase, però, consegnata al fuori campo, al racconto di una testimone in un film che scorre fluido nella sua immobilità, rende l’esterno di una villa di San Diego un anfiteatro dove spettatori-attori, coro di un evento già accaduto e ora indagato, sono testimoni e protagonisti di un’indagine poliziesca sempre più alterata. Come ne Il cattivo tenente. Perché Michael Shannon è “fratello” di Nicolas Cage, corpo allucinato de Il cattivo tenente. Entrambi con le menti abitate da visioni che Herzog visualizza facendole circolare per le immagini. Che, in My Son, My Son, What Have Ye Done, Herzog ha scovato non solo in una California ri-disegnata e perimetrata in uno spazio geometrico limitato, ma in Perù, in Messico e in una Cina estrema, tra gli anziani di un villaggio, con Brad fra loro (realtà o allucinazione, non importa), in una delle scene memorabili.
Il cinema di Herzog trae dalla propria memoria segni indelebili e li fa comunicare con altri ambienti e corpi fuori da sé. In un set-anfiteatro, con detour verso altri luoghi, che in tal modo espande negli esterni il punto di partenza, le prove teatrali dell’Orestiade cui Brad partecipa.
Popolato di segni al tempo stesso evidenti e nascosti (come la scritta sulla tazza del caffè di Brad, “Razzle Dazzle”, che “dice” del suo stato di confusione), di mitici (o intimi: Lena, la moglie di Herzog che compare anonima fotografa nell’ultima scena) corpi di cinema (Brad Dourif, nel ruolo dello zio Ted, era già stato per Herzog l’alieno de L’ignoto spazio profondo; Udo Kier, in quello di Lee Meyers, è di nuovo con Herzog dopo Invincibile, uno dei lavori più incompresi del cineasta bavarese), di animali (fenicotteri, struzzi) che appaiono come “fate morgane”, My Son, My Son, What Have Ye Done è un film sull’illusione e le verità. Sul cinema.
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