A conclusione della ventitreesima edizione di Visioni italiane, il festival riservato a cortometraggi e documentari realizzati da filmmakers emergenti e organizzato dalla Cineteca di Bologna, è utile soffermarsi sul film che l'ha inaugurata, trattandosi di una delle pellicole più importanti del cinema italiano contemporaneo oltre a essere uno dei titoli di prima grandezza del suo regista. Si tratta di Palombella rossa di Nanni Moretti e della sua versione restaurata supervisionata dall'autore di Mia madre.
Nel 1989 Moretti dirige e interpreta, nel ruolo dell'alter ego presente nella maggior parte dei suoi film Michele Apicella, un'opera di alto spessore filmico, sociale e politico ambientandola in una piscina, e negli spazi confinanti con essa, scelta come luogo metaforico dell'esistenza, come set-schermo per agire e osservare. Michele è un dirigente del Partito Comunista e un giocatore di pallanuoto traumatizzato da un incidente automobilistico che lo lascia senza memoria. In tale condizione affronta la partita decisiva del campionato, assediato, a bordo della vasca e in acqua, da ricordi e personaggi (la figlia, una giornalista, un giovane cattolico integralista, un amico di vecchia data) che lo mettono di fronte alla sua condizione di uomo in crisi, personale e politica, militando in un partito in profonda trasformazione.
La partita di pallanuoto diventa il pre-testo per riflettere i dubbi e le incertezze di una persona e di una generazione. E Palombella rossa uno dei film più laceranti di Moretti, film a fior di nervi che non si placa nel contatto con l'acqua, che apre continue porte verso il passato (dalle immagini in Super8 appartenenti a La sconfitta, primo cortometraggio di Moretti del 1973, a quelle de Il dottor Zivago di David Lean trasmesso in televisione). La piscina è un set in parte reale, nella sua struttura di base, in parte inventato, costruito appositamente (tribune, bar, murales, veranda a vetri). Luogo reale e della finzione, di un immaginario onirico popolato anche di corpi che rappresentano se stessi (il campione ungherese di pallanuoto Imre Budavari) o che, oltre la finzione, si pongono come documenti di sé inseriti nelle scene con fluidità (il critico cinematografico, intellettuale illuminato Giovanni Buttafava nel ruolo dello psicanalista; il regista cileno e apolide Raul Ruiz - ovvero una delle personalità che più ha esplorato al cinema e a teatro i labirinti della mente e del tempo, compiendo e vincendo anche la sfida di tradurre Proust sullo schermo ne Il tempo ritrovato - in quello dell'uomo sudamericano). Nel ruolo della figlia ribelle di Michele c'è invece una giovane Asia Argento.
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